avviso di accertamento agenzia delle entrate

L’AGENZIA DELLE ENTRATE NOTIFICO’ ALL’ESERCENTE L’ATTIVITA DI COMMERCIO ALL’INGROSSO DI PRODOTTI PETROLIFERI E LUBRIFICANTI, UN AVVISO DI ACCERTAMENTO SULLA BASE DI INCONGRUENZE E ANOMALIE RISCONTRATE NELLE PERDITE DI ESERCIZIO E NELLA GENERALE ANTIECONOMICITA’ DELL’ATTIVITA’ SVOLTA. LA CORTE ACCOGLIE IL PRIMO MOTIVO E RINVIA ALLA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

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L’Agenzia delle entrate, notificò all’esercente l’attività di commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi e lubrificanti, un avviso di accertamento.

Con tale atto – sulle considerazioni che la contribuente: a) aveva dichiarato una perdita di esercizio, ciò nonostante, aveva continuato ad acquistare immobilizzazioni materiali e merce. aveva sostenuto costi per il personale dipendente «mentre non esiste alcuna remunerazione del capitale di rischio, tenuto conto del risultato ancora negativo della gestione»; d) dal processo verbale risultava che aveva «effettuato acquisti di beni in evasione d’imposta, non autofatturati, e, conseguentemente, [aveva] effettuato cessioni di beni omettendone la fatturazione attiva»; e) da un processo verbale, risultava che aveva «effettuato acquisti in evasione d’imposta, non auto fatturati, per un valore imponibile di C 83.304,00 e, conseguentemente, [aveva] effettuato la cessione di detti beni omettendone la fatturazione attiva»; f) avendo il coniuge e due figli a carico, nonostante le suddette perdite aveva acquistato un’azienda un fabbricato una costruzione commerciale – riteneva che le stesse evidenziassero «incongruenze ed anomalie» che, «anche a causa dell’antieconomicità dell’attività svolta (per la maggior parte degli anni sempre in perdita)», consentivano, ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, di desumere l’esistenza di attività non dichiarate. Quindi, l’Ufficio dell’Agenzia delle entrate quantificava i ricavi effettivamente conseguiti dalla contribuente applicando al costo del venduto «la percentuale nazionale minima di ricarico del 7% rilevata attraverso le medie regionali in virtù dei dati presenti nella “Banca dati – Indici di bilancio” sviluppati dall’Agenzia delle Entrate, inserendo i dati contabili relativi ai codici di attività per regione e per provincia di appartenenza», accertando, pertanto, maggiori ricavi non contabilizzati, con i conseguenti maggior reddito, ai fini dell’IRPEF e delle relative addizionali regionale e comunale, maggior valore della produzione netta, ai fini dell’IRAP, e maggior volume d’affari, ai fini dell’IVA, oltre agli interessi e alle sanzioni.

  1. L’avviso di accertamento fu impugnato davanti alla Commissione tributaria provinciale che, ritenendo l’incompetenza per territorio dell’Ufficio, accolse il ricorso della società contribuente. 3. Avverso tale pronuncia, l’Agenzia delle entrate propose appello alla Commissione tributaria regionale che lo accolse parzialmente, riducendo i maggiori ricavi non contabilizzati con la motivazione che: a) «[i]n merito alla competenza territoriale dell’Agenzia delle entrate si osserva che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la competenza territoriale dell’Ufficio accertatore è determinata dall’art. 31 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 con riferimento al domicilio fiscale indicato dal contribuente, la cui variazione, comunicata nella dichiarazione annuale dei redditi, costituisce pertanto atto idoneo a rendere noto all’Amministrazione il nuovo domicilio non solo ai fini delle notificazioni, ma anche ai fini della legittimazione a procedere, che spetta all’Ufficio nella cui circoscrizione il contribuente ha indicato il nuovo domicilio. Tale “ius variandi” dev’essere peraltro esercitato in buona fede, nel rispetto del principio dell’affidamento che deve informare la condotta di entrambi i soggetti del rapporto tributario: pertanto, il contribuente che abbia indicato nella propria denuncia dei redditi il domicilio fiscale in un luogo diverso da quello precedente, non può invocare detta difformità, sfruttando a suo vantaggio anche un eventuale errore, al fine di eccepire, sotto il profilo dell’incompetenza per territorio, l’invalidità dell’atto di accertamento compiuto dall’ufficio finanziario del domicilio da lui stesso dichiarato” (Cass. Sez. 5, sentenza n. 5358 del 10/03/2006).

Non risulta che la ricorrente abbia comunicato la variazione domicilio. Mancando la comunicazione di variazione del domicilio, la contribuente non può fare valere tale “ius variandi” per avere indicato nella propria dichiarazione dei redditi il domicilio fiscale in un luogo diverso da quello precedente va riconosciuta la competenza territoriale dell’Ente impositore de quo»; b) «[p]er quanto riguarda la eccezione di mancata notifica dei PVC si osserva che essi sono stati redatti in contraddittorio con la parte, che, tra l’altro, dichiarava di non avere subito il furto di tutta la documentazione fiscale»; c) «[p]er quanto riguarda la eccezione di decadenza, va evidenziato che nel caso di specie opera il raddoppio dei termini per l’accertamento ai sensi della L. 223/6 del 4 luglio 2006 conv. nella L. 248/06, pertanto, l’avviso di accertamento impugnato è stato notificato nei termini di legge»; d) «[Un fine, ai fini della determinazione induttiva dei ricavi si rammenta come la possibilità di valutare l’antieconomicità del comportamento imprenditoriale quale elemento di fatto utilizzabile per sup portare, in via anche presuntiva, una certa pretesa, risulta affermata nella sentenza della Corte di Cassazione n. 1821 del 18 ottobre 2000, depositata il 9 febbraio 2001, in cui fra l’altro si legge: “… in tema di imposte sui redditi, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l’accertamento ai sensi dell’art. 39, comma primo, lettera d), del D.P.R. n 600 del 1973; ad un tale riguardo il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatica di possibili violazioni di disposizioni tributarie”. Così come nella sentenza del 15 ottobre 2010, n. 21317, l’antieconomicità del comportamento imprenditoriale è, tra gli altri, un canone di valutazione che rafforza diversi elementi presi a base per la decisione della Corte. Si afferma, in definitiva, il principio secondo cui un comportamento, non spiegato, contrario ai canoni dell’economicità, possa essere utilizzato quale argomento presuntivo per la rettifica di cui all’art. 39 comma 1 lettera d) del D.P.R. n. 600/1973. Nel caso di specie, il ricorso all’accertamento induttivo è legittimato dai risultati reddituali negativi per più esercizi e dalla totale assenza delle scritture contabili che la contribuente non è stata in grado di ricostruire a seguito del furto che asserisce di avere subito»; d) «tuttavia, il collegio ritiene ridondante la percentuale di ricarico del 7% applicata dall’Ufficio per determinare i maggiori ricavi di C 231.948,00, tenuto conto che la ditta esercitava commercio all’ingrosso, la cui percentuale di ricarico si attesta intorno al 5-6 per cento, mentre la percentuale applicata dall’Ufficio è riferita al commercio al minuto. Pertanto, il Collegio ritiene che la suddetta percentuale debba essere opportunamente ridotta dal 7% al 5,5% con conseguente riduzione dei maggiori ricavi da C 231.948,00 a C 123.470,00». 4. Avverso tale sentenza della CTR – depositata 1’11 giugno 2014 e non notificata – ricorre per cassazione Antonietta Iorio, che affida il proprio ricorso, notificato il 23 gennaio 2015, a otto motivi. 5. L’Agenzia delle entrate, con sede in Roma, si è costituita al solo fine dell’eventuale partecipazione alla discussione orale.

Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 58 e 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 21-octies della legge 7 agosto 1990, n. 241, per avere la CTR «sostanzialmente ritenuto […] che il contribuente non avrebbe potuto modificare [se pure una modifica fosse stata necessaria, considerato che da sempre la ricorrente ha avuto il domicilio fiscale in Casalnuovo] il proprio domicilio fiscale con la presentazione della dichiarazione dei redditi, ma sarebbe stato necessario un’apposita “comunicazione di variazione”» (e per avere, perciò, omesso di rilevare che, poiché nella dichiarazione dei redditi per il periodo d’imposta 2002 aveva indicato, come proprio domicilio fiscale, la competenza per territorio a emettere l’avviso di accertamento era dell’Ufficio competente, appunto, con la conseguente invalidità dell’avviso in quanto emesso da quest’ultimo, incompetente, Ufficio).

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In conclusione, il primo motivo deve essere accolto, assorbiti i motivi dal secondo all’ottavo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa deve essere rinviata alla Commissione tributaria regionale in diversa composizione, affinché, tenendo conto dei principi enunciati sopra, provveda a decidere sulla competenza territoriale a emettere l’avviso di accertamento – e, solo nel caso di ritenuta competenza dell’Ufficio emittente, a riesaminare gli ulteriori motivi di appello – nonché a regolare le spese del presente giudizio di cassazione.

 P.Q. M.

accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto, il settimo e l’ottavo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.