Titolare di un’impresa di noleggio di ciclomotori e biciclette aveva acquistato un esercizio di rivendita di generi di monopolio, ricevitoria e cartoleria (per le due attività aveva un’unica partita Iva e una sola contabilità).
Avviso di accertamento ridetermina il reddito relativo ad un anno d’imposta, con maggiore Irpef, addizionali regionali e comunali, oltre a interessi e sanzioni.
Studio legale Tributario Pirro Milano
Il contribuente in causa
Ordinanza della Cassazione Sezione 5 tributaria n. 21124/2020. Una persona fisica, già titolare di un’impresa di noleggio di ciclomotori e biciclette, aveva acquistato un esercizio di rivendita di generi di monopolio, ricevitoria e cartoleria, al prezzo di euro 129.114,22, di cui euro 123.949,66 a titolo di avviamento.
Aveva alienato l’esercizio acquistato al prezzo di euro 100.000,00 di cui 95.000,00 a titolo di avviamento, restando invece titolare del primo ramo d’azienda. La sentenza n. 240/24/2012, depositata il 14.12.2012 dalla Commissione tributaria Regionale della Sicilia conferma la sentenza di primo grado e rigetta l’impugnazione dell’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva rideterminato il reddito relativo all’anno d’imposta, con maggiore Irpef, addizionali regionali e comunali, oltre a interessi e sanzioni.
Il contenzioso tributario
Con l’avviso di accertamento notificato l’Agenzia delle entrate aveva contestato alla contribuente l’inesattezza dei dati esposti in dichiarazione, in particolare un reddito d’impresa pari a soli euro 2.954,00, a fronte del prezzo di cessione del ramo d’azienda, che veniva integralmente recuperato ad imponibile.
La contribuente, al contrario sosteneva che da quella cessione era scaturita una minusvalenza.
Prima che il ricorso arrivasse in Cassazione
La contribuente aveva adito la Commissione tributaria provinciale di Agrigento, che con sentenza n. 798/04/2009 aveva rigettato però il ricorso.
La statuizione era stata confermata dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia, con la decisione oggetto della presente impugnazione.
I giudici regionali hanno ritenuto che il valore d’avviamento realizzato con la vendita del ramo d’azienda aveva costituito componente positiva del reddito d’impresa, sicché legittimamente l’Amministrazione finanziaria aveva provveduto al suo recupero ad imponibile.
La contribuente censura la decisione del giudice d’appello con due motivi: con il primo per violazione e falsa applicazione della norma del testo unico delle imposte sui redditi riguardante le plusvalenze patrimoniali, degli artt. 3, 23, 53, 70 e 97 Costituzione della Repubblica Italiana, della norma dello Statuto dei diritti del Contribuente sulla conoscenza degli atti e semplificazione, per aver erroneamente operato la tassazione dell’avviamento commerciale, senza tener conto del rapporto tra il corrispettivo con il costo non ammortizzato; con il secondo per omesso esame circa fatti decisivi ai fini del giudizio, che hanno formato oggetto di discussione tra le parti.
I gradi di merito erano sfavorevoli alla società contribuente che ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate.
Il motivo di impugnazione accolto
Con il primo motivo la contribuente si duole dell’erronea applicazione dell’art. 86 del d.P.R. n. 917 del 1986.
Il motivo è fondato nei limiti e nei termini appresso chiariti.
In motivazione il giudice regionale prima inquadra le ragioni della contribuente, secondo la quale anche l’avviamento dell’azienda acquistata a titolo oneroso, avviamento iscritto in bilancio, aveva concorso alla determinazione del valore complessivo della cessione d’azienda, valore dunque da identificarsi nella parte ancora non ammortizzata, che nel concreto portava ad evidenziare una minusvalenza.
Sennonché «esattamente hanno deliberato e motivato i giudici di prime cure in ossequio al contenuto dell’art. 86, comma 2, del TUIR n. 917/1986, in quanto il valore dell’avviamento realizzato con la vendita di azienda e quindi la quantificazione monetaria concorre come elemento positivo alla formazione del reddito dell’azienda, conseguentemente è legittimo quanto accertato come reddito d’impresa da parte dell’Ufficio.
Tale condizione è stata confermata dalla stessa contribuente che in sede di contraddittorio amministrativo dichiarava di avere impegnato gli introiti derivanti dalla vendita dell’azienda, per la vendita di monopoli, ricevitoria e cartoleria, nell’acquisto dell’immobile nel rogito del Notaio; quindi non si può certo considerare tale introito che come elemento positivo costituente reddito dell’impresa contribuente sul quale legittimamente l’Ufficio ha emesso l’atto impugnato.»(…) Questo Collegio ritiene che l’assunto del giudice regionale sia erroneo per un’errata lettura della norma.
Intanto va premesso che la norma colloca il valore di avviamento in seno alle plusvalenze derivanti dalla cessione d’azienda, fattispecie a sua volta collocata nel comma 2 dell’art. 86 cit., che nel primo periodo disciplina il criterio di determinazione della plusvalenza.
Chiarita la collocazione della fattispecie, è pacifico che l’avviamento non rientra nel complesso dei beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, ma viene generalmente identificato nella qualità immateriale dell’impresa di produrre valore, costituendo pertanto più che un bene singolarmente valutabile, un valore economico ulteriore rispetto al valore complessivo dei singoli beni organizzati per l’esercizio d’impresa. Esso dunque è l’indice della capacità di produrre valori, oscillanti rispetto all’ordinaria capacità produttiva dei beni dell’azienda.
Si tratta in ogni caso di un bene immateriale, appostato nell’attivo dello stato patrimoniale (2424 c.c.).
Ad esso fa peraltro rifermento l’art. 103 del TUIR, laddove prevede la deducibilità delle quote di ammortamento del valore di avviamento che sia iscritto nell’attivo di bilancio.
Tale riferimento si giustifica, nella condivisibile ricostruzione di certa dottrina, preminentemente con l’esigenza di determinare il costo non ammortizzato, che va assunto ai fini della quantificazione dei componenti reddituali che emergono in sede di realizzo.
Ciò ha fatto anche osservare che, nel quadro delle plusvalenze afferenti la cessione unitaria dell’azienda a titolo oneroso, l’inciso “compreso l’avviamento” vuol significare che alla quantificazione della plusvalenza concorre anche l’avviamento già iscritto in bilancio.
D’altronde è la stessa Circolare 98/E/2000 dell’Agenzia delle entrate che riconosce nell’avviamento una componente del costo dell’azienda ceduta. Ebbene, rispetto ad un avviamento cd. derivativo (cioè già oggetto di una sua autonoma identificazione in occasione del precedente acquisto dell’azienda da parte dell’attuale cedente), e tenendo conto della sua appostazione nell’attivo dello stato patrimoniale, così come della sua ammortizzabilità, appare incomprensibile perché, ai fini della sua valutazione in sede di cessione d’azienda (del ramo d’azienda), la sentenza abbia ritenuto corretta la valutazione dell’Amministrazione finanziaria.
Questa, riconducendo ad imponibile l’intero valore dell’avviamento del ramo d’azienda ceduto, non ha tenuto conto di quanto previsto dall’art. 86, comma 2, primo periodo, a proposito della determinazione della plusvalenza, la quale, in caso di cessione del bene, sia esso singolo (ma non rientrante tra quelli indicati nel comma 1 dell’art. 85 TUIR), sia esso corrispondente al complesso dei beni costituenti l’azienda, deve corrispondere alla differenza tra il corrispettivo di cessione (al netto degli oneri accessori di diretta imputazione) e il costo non (ancora) ammortizzato.(…) Ai fini fiscali dunque, nella determinazione della plusvalenza (o della minusvalenza), non può assumersi l’indifferenza del costo d’avviamento, inizialmente dichiarato (o accertato) in occasione dell’acquisto dell’azienda, e di quanto di esso, appostato nell’attivo dello stato patrimoniale, non sia stato ancora ammortizzato (…). In conclusione il motivo, nei limiti descritti, trova accoglimento. (…) La sentenza va dunque cassata, e il giudizio va rinviato alla Commissione tributaria regionale della Sicilia (…).
Studio legale Tributario Pirro Milano
PQM
La Corte accoglie nei termini di cui in motivazione il primo motivo, assorbito il secondo; cassa la sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, cui demanda la decisione anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il giorno 27 febbraio 2020