thin capitalization

Il metodo utilizzato dai giudici di appello, praticabile per le cd. holding di diritto, si discosta dai criteri richiamati dal documento di prassi per le cd. holding di fatto e non consente, dunque, di stabilire se, se possa o meno ritenersi in concreto applicabile la disciplina della “thin capitalization”

Il metodo utilizzato dai giudici di appello, praticabile per le cd. holding di diritto, si discosta dai criteri richiamati dal documento di prassi per le cd. holding di fatto e non consente, dunque, di stabilire se, se possa o meno ritenersi in concreto applicabile la disciplina della “thin capitalization”

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  1. Il secondo motivo del ricorso incidentale è fondato.

11.1. Giova premettere che con il meccanismo della thin capitalization (o capitalizzazione sottile), previsto dall’art. 98 del t.u.i.r., introdotto dal d.lgs. del 12 dicembre 2003, n. 344 (e abrogato dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244, in vigore dal periodo successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007), si è inteso limitare la deduzione di interessi passivi in presenza di un rapporto tra capitale proprio e indebitamento («debt-equity ratio»), tale da far presumere un uso elusivo, in termini di risparmio fiscale, della sottocapitalizzazione societaria. La ratio della disposizione normativa risponde all’esigenza di evitare che gli utili derivanti dalla partecipazione in società, indeducibili in sede di determinazione del reddito di quest’ultima, siano trasformati in oneri finanziari deducibili per la società ed assoggettati in capo ai soci ad un regime fiscale più favorevole. Questa Corte, già con la sentenza n. 26489 del 26 novembre 2013, ha definito la capitalizzazione sottile come il fenomeno di sottocapitalizzazione di una società rispetto all’attività d’impresa esercitata e nel contestuale finanziamento della stessa con apporto di capitale di credito da parte dei soci qualificati o da parte ad essi correlate.

11.2. I presupposti dai quali discende il meccanismo di indeducibilità degli interessi sono tre: a) è necessario, in primo luogo, che il rapporto tra la consistenza media durante il periodo d’imposta dei finanziamenti e la quota di patrimonio netto contabile di pertinenza del socio medesimo o delle sue parti correlate, aumentato degli apporti di capitale effettuati dallo stesso socio o da sue parti correlate in esecuzione dei contratti di cui all’art. 109, comma 9, lett. b), sia superiore a quello di quattro ad uno; b) il finanziamento deve derivare da mutui, depositi di denaro o da ogni altro rapporto di natura finanziaria; c) il finanziamento deve essere erogato o garantito da un socio o da una sua parte correlata. In presenza di tali requisiti, il comma 2, lett. b), dell’art. 98 dispone che la regola della thin capitalization non trova applicazione ove la società fornisca la dimostrazione che l’ammontare dei finanziamenti erogati o garantiti dai soci o dalle parti correlate è giustificato dalla oggettiva capacità di ottenere credito con la sola garanzia del proprio patrimonio sociale e che gli stessi sarebbero stati comunque erogati anche da terzi finanziatori.

11.3. In attuazione dell’art. 4, comma 1, lett. g), n. 2, della legge n. 80 del 2003, non rilevano i finanziamenti assunti nell’esercizio dell’attività bancaria o dell’attività svolta dai soggetti richiamati nell’articolo 1 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87 (ossia da: 1) banche; 2) società di gestione; 3) società finanziarie capogruppo di gruppi bancari iscritti nell’albo; 4) società previste dalla legge 2 gennaio 1991, n. 1; 5) soggetti operanti nel settore finanziario di cui al titolo V del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia emanato ai sensi dell’art. 25, comma 2, della legge 19 febbraio 1992, n. 142; 6) e società esercenti altre attività finanziarie indicate nell’art. 59, comma 1, lett. b), del medesimo testo unico bancario). Con specifico riguardo ai soggetti operanti nel settore creditizio e finanziario, le società di cui all’art. 59, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 385 del 1993, che abbiano ad oggetto esclusivo o prevalente l’assunzione di partecipazioni con le caratteristiche indicate dalla Banca d’Italia in conformità alle delibere assunte dal CICR, sono interessate dalla normativa fiscale in materia di sottocapitalizzazione, perché specificamente escluse dal novero dei soggetti per i quali l’art. 98 del t.u.i.r. è irrilevante (art. 98, comma 5, e Circolare Agenzia delle entrate n. 11/E del 17 marzo 2005, par. 2. E 3.3.3.) Come chiarito da autorevole dottrina e dalla circolare n. 11/E del 2005, cit., l’applicazione della regola della thin capitalization opera anche per le società, diverse da quelle indicate dall’art. 59 sopra richiamato, aventi per oggetto esclusivo o principale l’assunzione di partecipazioni, e riguarda, oltre ai soggetti operanti nel settore finanziario e richiamato dagli artt. 106 e 113 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 (Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), anche i soggetti esercenti de facto la medesima attività (cd. holding di fatto), e ciò sia quando l’attività si svolga prevalentemente nei confronti del pubblico, sia quando ciò non avvenga. 11.4. Ai fini dell’assoggettamento di tali società alla norma dell’art. 98 del t.u.i.r. occorre, tuttavia, valutare l’eventuale prevalenza dell’attività finanziaria di «assunzione di partecipazioni» rispetto alle altre attività finanziarie. La circolare sopra indicata, sul punto, richiama i criteri oggettivi di prevalenza enunciati dall’art. 2 del decreto ministeriale del 6 luglio 1994 (recante: «Determinazione, ai sensi dell’art. 113, comma 1, del d.lgs. n. 385 del 1993, dei criteri in base ai quali sussiste l’esercizio in via prevalente, non nei confronti del pubblico, delle attività finanziarie di cui all’art. 106, comma 1»), a sua volta illustrati dalla circolare dell’Amministrazione finanziaria del 4 giugno 1998, n. 141, precisando che la «prevalenza» dell’esercizio di una specifica attività rispetto ad un’altra presuppone la contestuale presenza, in base ai dati dei bilanci relativi agli ultimi due esercizi, dei seguenti elementi patrimoniali e reddituali: a) l’ammontare complessivo degli elementi dell’attivo di natura finanziaria di cui alle attività richiamate dall’art. 106 del d.lgs. n. 385 del 1993, delle altre attività finanziarie contemplate nell’art.1, comma 2, lett. f), numeri da 2 a 12 e 15 del medesimo decreto legislativo, delle attività, anche non finanziarie, strumentali rispetto a una o più delle attività richiamate dall’art. 106, comma 1, deve essere superiore al 50 per cento del totale dell’attivo patrimoniale; b) l’ammontare complessivo dei proventi prodotti dagli elementi dell’attivo sopra richiamati, dei profitti derivanti da operazioni di intermediazione su valute e delle commissioni attive percepite sulla prestazione dei servizi, richiamati dall’art. 106, comma 1, del decreto legislativo n. 385 del 1993, deve essere superiore al 50 per cento dei proventi complessivi. 11.3. La Commissione tributaria regionale ha posto a base della decisione la circolare n. 11/E del 2005, ma, ai fini del calcolo della «prevalenza» previsto dalla norma, ha erroneamente considerato, quali denominatori dei rapporti suddetti, non già il totale delle attività di natura finanziaria risultanti dallo stato patrimoniale, da un lato, e l’ammontare complessivo dei proventi, dall’altro, come espressamente previsto per le cd. holding di fatto, nel cui ambito rientra la odierna controricorrente, ma ha piuttosto ritenuto che la verifica dovesse riguardare i rapporti fra l’ammontare delle partecipazioni ed il totale delle attività finanziarie, da una parte, e fra il totale dei proventi derivanti dalle partecipazioni ed il totale dei proventi finanziari, dall’altro, in tal modo restringendo la verifica alle sole attività finanziarie ed ai soli proventi finanziari. Il metodo utilizzato dai giudici di appello, praticabile per le cd. holding di diritto, si discosta dai criteri richiamati dal documento di prassi per le cd. holding di fatto e non consente, dunque, di stabilire se ricorrono i requisiti necessari a configurare la prevalenza prevista dall’art. 98, settimo comma, del t.u.i.r. e, quindi, se possa o meno ritenersi in concreto applicabile la disciplina della thin capitalization. In relazione alla censura svolta con il mezzo in esame, la sentenza va, pertanto, cassata.

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P.Q.M.

La Corte rigetta accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale; dichiara assorbito il secondo motivo del ricorso principale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale in diversa composizione.