L’indennità per perdita dell’avviamento di cui all’art. 34 I. n. 392/1978 non costituisce corrispettivo del contratto di locazione e rientra tra le somme dovute a titolo di risarcimento del danno, penalità, ritardi o altre irregolarità nell’adempimento degli obblighi contrattuali di cui all’art. 15 d.P.R. n. 633/1972, le quali non concorrono a formare la base imponibile IVA. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e accoglie la domanda del contribuente
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FATTI DI CAUSA
La società cooperativa contribuente, già locataria di un immobile ad uso non abitativo di durata novennale, ha chiesto all’Erario il rimborso a termini dell’art. 21, comma 2, d. Igs. 31 dicembre 1992, n. 546 dell’IVA – già addebitata in fattura alla proprietaria dei locali Anni Sereni SRL a titolo di rivalsa all’atto del pagamento dell’indennità da perdita di avviamento ex art. 34 I. 27 luglio 1978, n. 392 per cessazione del contratto di locazione – adducendo di avere restituito l’IVA di rivalsa alla locatrice in forza di decreto ingiuntivo del. L’istanza di rimborso dell’IVA, già restituita alla cessionaria, è stata rigettata dall’Agenzia delle Entrate, con la motivazione che l’indennità di cui all’art. 34 I. n. 392/1978 deve considerarsi quale imponibile IVA. A seguito di impugnazione, la CTP ha accolto il ricorso ritenendo la natura risarcitoria dell’indennità di cui all’art. 34 I. n. 392/1978. La CTR, con sentenza ha accolto l’appello dell’Ufficio. Ha ritenuto il giudice di appello che l’indennità di cui all’art. 34 cit. non ha la funzione di ristorare i danni derivati al conduttore dalla perdita del valore dell’avviamento commerciale per effetto della disdetta del contratto alla scadenza da parte del locatore, bensì mira a riconoscere al conduttore un corrispettivo per l’incremento arrecato al valore locatizio dell’immobile; detta indennità non può, pertanto, ad avviso del giudice di appello, avere natura risarcitoria, per cui non può operare l’ipotesi di esenzione dalla base imponibile di cui all’art. 15, comma 1, n. 1 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in quanto indennità avente natura corrispettiva, costituente parte del corrispettivo della locazione e, pertanto, assoggettabile a IVA. Ha ritenuto, inoltre, il giudice di appello di escludere la natura risarcitoria della indennità in oggetto sul presupposto della insussistenza di alcun comportamento illecito di parte locatrice. Propone ricorso per cassazione la società cooperativa contribuente affidato a un unico motivo di ricorso, ulteriormente illustrato da memoria; l’Ufficio ha depositato atto di costituzione senza proporre difese scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico e pluriarticolato motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3 e 15 d.P.R. n. 633/1972, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che l’indennità di perdita dell’avviamento di cui all’art. 34 I. n. 392/1978 non rientra nelle ipotesi di esclusione dalla base imponibile IVA, avendo la suddetta indennità natura corrispettiva e non risarcitoria, in funzione dell’incremento arrecato al valore locativo dell’immobile restituito al proprietario, quale effetto dello svolgimento dell’attività svolta dalla locatrice, prestazione rientrante, pertanto, nel sinallagma contrattuale. Deduce il ricorrente come sia invalso nella giurisprudenza di legittimità l’opposto principio, secondo cui la prestazione in oggetto abbia funzione indennitaria e non costituisca corrispettivo per la remunerazione di un servizio. Rileva, inoltre, come la correlazione dell’indennità all’obbligazione di riconsegna dell’immobile non istituisca una relazione sinallagmatica tra prestazioni contrattuali, costituendo piuttosto un corrispettivo per la cessazione del contratto. Deduce, infine, come l’impostazione secondo cui l’indennità posta a corrispettivo della cessazione del rapporto locatizio è esente da IVA non è in contrasto con la giurisprudenza unionale.
2 – Il ricorso è fondato.
2.1 – La giurisprudenza unionale richiede la sussistenza di un «nesso diretto» tra servizio reso e controvalore ricevuto quale elemento che caratterizza ai fini IVA il corrispettivo di una prestazione, dovendosi accertare che le somme versate costituiscano l’effettivo corrispettivo di una specifica prestazione fornita nell’ambito di un rapporto giuridico in cui avviene uno scambio di reciproche prestazioni. Nella specie, si afferma che la qualificazione di una operazione di scambio «a titolo oneroso» presuppone la sussistenza del suddetto «nesso diretto» fra cessione di beni o prestazione di servizi e corrispettivo effettivamente percepito dal soggetto passivo, nesso che si rinviene qualora tra prestatore e beneficiario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio sinallagnnatico di prestazioni, in modo tale da qualificare il corrispettivo percepito dal prestatore quale controvalore effettivo del servizio fornito al beneficiario (Corte di Giustizia UE, 10 gennaio 2019, C-410/17, punto 31; Corte di Giustizia, 22 novembre 2018, ME0 – Servigos de Comunicagòes e Multimédia, C-295/17, punti 39, 40; Corte di Giustizia UE, 18 luglio 2007, Société thermale d’Eugénie-les-Bains, C-277/05, punto 19; Corte di Giustizia UE, 23 marzo 2006, FCE Bank, C-210/04, punto 34; Corte di Giustizia UE, 21 marzo 2002, Kennemer Golf, C-174/00, punto 39). Con particolare riferimento al caso di indennità forfetaria di scioglimento dal vincolo contrattuale (caso del trattenimento della caparra a titolo di indennità forfetaria di recesso), versata ai fini del risarcimento del danno subìto per effetto della rinuncia del cliente, si è ritenuto che tale indennità sia priva di tale nesso diretto con un servizio reso a titolo oneroso, e, in quanto tale, non soggetta a IVA (Corte di Giustizia UE, Société thermale d’Eugénie-les-Bains, cit., Corte di Cassazione – copia non ufficiale mente esigibili, entrambe sorgono quando il rapporto è già 5 di 11 2.2 – In termini con i principi espressi, l’ordinamento di diritto interno esclude, a termini dell’art. 15, comma 1, n. 1) d.P.R. n. 633/1972, dal computo della base imponibile le somme dovute a titolo di penalità per ritardi, come è stato ritenuto – in materia locatizia – dalla Terza Sezione di questa Corte per l’indennità per ritardata riconsegna dell’immobile ex art. 1591 cod. civ. (Cass., Sez. III, 3 ottobre 2013, n. 22592), nonché per l’indennità di cui all’art. 34, comma 1, I. n. 392/1978 oggetto di causa (Cass., Sez. III, 7 giugno 2006, n. 13345). Tale impostazione appare condivisibile, non rinvenendosi il nesso diretto tra prestazione e corrispettivo, nel senso espresso dalla giurisprudenza unionale, in relazione alla indennità da perdita dell’avviamento commerciale percepita dal conduttore. L’art. 34, comma 1, I. n. 293/1978 prevede che, in caso di cessazione del rapporto di locazione di immobili commerciali alla scadenza, non dovuto a risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore o a procedura concorsuale, «il conduttore ha diritto per le attività indicate ai numeri 1) e 2) dell’articolo 27 ad una indennità pari a 18 mensilità dell’ultimo canone corrisposto; per le attività alberghiere l’indennità è pari a 21 mensilità». Il diritto all’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale sorge per effetto dello scioglimento del rapporto di locazione su iniziativa del locatore, sempre che il conduttore non sia inadempiente, nel caso in cui gli immobili siano adibiti ad attività industriali, commerciali, artigianali e di interesse turistico comprese tra quelle di cui all’articolo 2 I. 12 marzo 1968, n. 326. 2.3 – Vero è che la prestazione del locatore è correlata all’obbligazione di rilascio dell’immobile da parte del conduttore, per cui vi è una dipendenza della prestazione in oggetto dall’esecuzione di una obbligazione di facere posta a carico del conduttore. Tuttavia, le due obbligazioni non si collocano sul piano del sinallagma contrattuale in quanto, pur interdipendenti e cessato (Cass., Sez. III, 5 dicembre 2014, n. 25736; Cass., Sez. III, 16 aprile 2015, n. 7715). Il conduttore è obbligato a restituire l’immobile come effetto della cessazione del contratto e, in quanto tale, la cessazione del contratto non comporta alcuna remunerazione in favore del conduttore, laddove, al contrario, sorge in capo al conduttore una obbligazione pecuniaria nel caso in cui questi non adempia a tale obbligazione di facere. Non vi è, pertanto, un legame tra prestazioni (la prestazione indennitaria del locatore e l’obbligazione di rilascio dell’immobile del conduttore) scaturente dal sinallagma contrattuale, come correttamente nota parte ricorrente – benché l’obbligazione di restituzione dell’immobile locato costituisca una delle obbligazioni del conduttore – stante il fatto che la prestazione indennitaria incombente sul locatore (come anche quella del conduttore) sorge in un momento in cui il rapporto contrattuale è già cessato.
Ragion per cui si afferma che tale legame «corre non sul piano della sinallagmaticità ma sul piano della esigibilità, nel senso che il locatore non può far eseguire il rilascio forzoso dell’immobile se non ha adempiuto alla sua obbligazione di corrispondere l’indennità di avviamento al conduttore» (Cass., n. 25736/2014, cit.; Cass., Sez. III, 2 settembre 2009, n. 19083; Cass., Sez. III, 8 novembre 1996, n. 9747). Il pagamento dell’indennità non attiene, pertanto, alla regolare esecuzione del contratto, ma alla fase successiva dell’esecuzione per rilascio in danno del conduttore, costituendo tale pagamento condizione dell’azione esecutiva (Cass., Sez. III, 31 agosto 2009, n. 18899). 2.4 – Ciò che caratterizza la natura dell’indennità per la perdita dell’avviamento è, invero, la ragione economica di tale prestazione incombente sul locatore, legata non allo scioglimento in quanto tale del contratto, quanto all’inerenza dello scioglimento a determinati contratti di locazione, che implichino nello svolgimento del rapporto locati o un contatto con il pubblico (Cass., Sez. VI, 12 dicembre 2017. n. 29835; Cass., Sez. III, 7 luglio 2016, n. 13936; Cass., Sez. III, 16 aprile 2015, n. 7715). L’indennità di cui all’art. 34, comma 1, I. n. 392/1978 costituisce il corrispettivo di un diritto di recesso, non legato in quanto tale all’esecuzione della prestazione di facere di rilascio dell’immobile, bensì alla cessazione dell’utilizzo dei locali dell’immobile commerciale, già condotto in locazione, con conseguente cessazione in quei locali dell’attività economica di natura industriale, commerciale artigianale o turistica implicante contatto con il pubblico. Tale prestazione, pur trovando nello scioglimento per volontà unilaterale del conduttore il suo presupposto, consegue a una obbligazione ex lege che attiene allo scioglimento, a termini dell’art. 27 I. n. 392/1978, del vincolo contrattuale riguardante immobili che consentono lo svolgimento in quei locali di una determinata attività di contatto con il pubblico. Tale indennità ha la duplice funzione, da un lato, di compensare il conduttore della perdita dell’«avviamento» (così la rubrica dell’art. 34 I. loc.), conseguente alla indisponibilità dei locali, dall’altro, di distribuire equitativamente alcune delle utilità (o per meglio dire, esternalità positive), rimaste in capo al locatore in termini di incremento del valore locativo, su colui che ha contribuito a tale incremento di valore. Si tratta di un sistema legale compensativo, analogo alle penalty rules, che prescinde dalla natura illecita o meno dell’attività compiuta da un soggetto economico, finalizzato ad allocare alcune delle esternalità positive (nella specie, l’incremento di valore locatizio ricollegabile all’avviamento indotto dall’attività economica riconducibile al precedente conduttore) su chi ha concorso a incrementare quelle esternalità. La distribuzione legale delle esternalità positive generatesi per effetto della locazione commerciale riguarda, tuttavia, le sole utilità arrecate all’immobile in termini di incremento del valore locativo per effetto dell’esercizio dell’attività commerciale nei locali dell’impresa. L’incremento di valore locativo di un bene immobile commerciale è dovuto, sostanzialmente, a due fattori, uno legato alla ubicazione e alla natura dei locali dell’impresa (di pertinenza del locatore), l’altro alla capacità dell’imprenditore di attrarre clientela, conseguente all’attività svolta dal conduttore. Entrambe si traducono nell’avviamento dell’impresa conduttrice, che è una qualità dell’azienda, ma il cui algoritmo deriva principalmente dalla combinazione di questi due fattori (ubicazione dei locali e capacità imprenditoriale), uno dei quali è ricollegabile all’attività imprenditoriale svolta dal conduttore, benché il risultato complessivo della combinazione dei due fattori rimanga in qualche modo incorporato nel valore locativo dei locali dell’impresa. Per effetto della cessazione del rapporto locatizio e del rilascio dei locali in favore del locatore, questi acquisisce il beneficio dell’incremento complessivo del valore locativo, benché solo una parte sia ascrivibile alle caratteristiche dell’immobile. In assenza di una obbligazione ex lege, quale l’indennità in questione, il locatore ricaverebbe una esternalità positiva per effetto dell’attività effettuata dal conduttore, in termini non dissimili da un arricchimento senza causa, laddove al contempo il conduttore si impoverirebbe per effetto della perdita di clientela conseguente alla perdita della disponibilità dei locali dell’impresa. La norma di cui all’art. 34, comma 1, I. cit. si propone di rimodulare parzialmente questo incremento di valore, nella misura in cui tale incremento di valore sia riconducibile alla capacità imprenditoriale dell’imprenditore conduttore, allocandolo parzialmente a compensazione sul soggetto che ha generato in favore del locatore tale valore, mediante corresponsione di una indennità calcolata forfetariamente sull’importo dei canoni versati. Se, quindi, questa indennità non è legata a una prestazione, anche non caratteristica, del conduttore a svolgersi in costanza di rapporto, ma consegue al mero rilascio dei locali e, quindi, alla cessaiiine degli effetti del contratto ed è, inoltre, finalizzata a compensare la perdita di clientela del conduttore (spostando dal locatore al conduttore alcune delle risorse incorporate nel valore locatizio non dovute alla natura dell’immobile locato), deve escludersi che vi sia un nesso diretto tra il servizio contrattuale reso (la messa a disposizione dei locali) e il controvalore ricevuto (l’indennità). La riconducibilità dell’erogazione dell’indennità alla necessità di riequilibrare in termini compensativi l’incremento di valore causato all’immobile ne esclude la natura corrispettiva. Tale indennità ha, difatti, lo scopo di ripristinare l’equilibrio degli effetti dello scioglimento contrattuale, attraverso una prestazione pecuniaria da parte del soggetto arricchito dall’incremento del valore locativo (il locatore), in favore proprio del soggetto che ha contribuito a generarlo e che si trova a fronteggiare una perdita di clientela legata proprio alla indisponibilità dei locali. 2.5 — Tornando al caso di specie, la motivazione del giudice di appello, pur avendo colto la ratio dell’indennità da perdita dell’avviamento, ne stravolge la natura, laddove afferma che tale indennità ha natura corrispettiva e, quindi, sarebbe parte del contenuto sinallagmatico del negozio per il fatto che l’indennità va, da un lato, a controbilanciare l’obbligazione di facere di restituzione dell’immobile in capo al conduttore e, dall’altro, va a remunerare l’incremento di valore acquisito dall’immobile. La pronuncia stravolge il significato dell’indennità, sia perché non coglie l’aspetto causale della prestazione indennitaria, che si colloca «a valle» dello scioglimento del contratto (quando il vincolo negoziale non è più esistente), sia perché non individua la funzione tipica dell’indennità, che non è quella di remunerare una prestazione di facere (caratteristica o meno) del conduttore (come vorrebbe la Corte di merito in relazione all’obbligazione di restituzione dell’immobile), ma è quella di compensare le esternalità positive acquisite dal locatore in favore del conduttore. E’ proprio questo arricchimento del locatore scaturente dalla cessazione del contratto – che è fonte della corresponsione dell’indennità, la quale, lungi dall’essere legata al sinallagma contrattuale, da un lato trova fonte nella legge, dall’altro si colloca al di fuori del nesso sinallagmatico tra prestazione caratteristica del contratto (messa a disposizione dei locali) e corrispettivo (canone), costituendo condizione dell’azione esecutiva di rilascio. 2.6 – Né, infine, può ipotizzarsi una corrispettività in relazione all’oggetto della protezione legale – consistente nell’avviamento, in termini non dissimili dalla protection of goodwill dauses – tale da assimilare l’istituto a una clausola di riequilibrio ex post del sinallagma contrattuale; cosa che, diversamente, avviene per le clausole di violazione del patto di non concorrenza in caso di cessione delle partecipazioni, le quali mirano a garantire l’immediato riequilibrio del rapporto, scontando dal prezzo delle partecipazioni cedute la diminuzione di valore determinata dalla violazione degli obblighi di non concorrenza. L’indennità ex art. 34 I. cit. non costituisce una prestazione che entra a far parte della prestazione principale («prezzo»), bensì è legata a un evento fisiologico (la cessazione del contratto, con perdita della disponibilità dei locali dell’impresa), che si colloca successivamente e all’esterno del funzionamento tipico del contratto di locazione. Analogamente, nessuna corrispettività può dedursi dal fatto che l’indennità è commisurata ai canoni versati, in quanto la protezione dell’avviamento non è una obbligazione incombente sul locatore (diversamente da quanto avviene in caso di vendita delle partecipazioni per il cedente) e il canone è preso in considerazione quale mero strumento di commisurazione dell’indennità. Va, pertanto, confermata la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’indennità per perdita dell’avviamento di cui all’art. 34 I. n. 392/1978 non costituisce corrispettivo del contratto di locazione e rientra tra le somme dovute a titolo di risarcimento del danno, penalità, ritardi o altre irregolarità nell’adempimento degli obblighi contrattuali di cui all’art. 15 d.P.R. n. 633/1972, le quali non concorrono a formare la base imponibile IVA (Cass., Sez. III, 7 giugno 2006, n. 13345, cit.; Cass., Sez. III, 11 luglio 2006, n. 15721; Cass., Sez. III, 29 maggio 2012, n. 8559). La sentenza impugnata non si è attenuta a tale principio e va cassata; la prestazione di cui all’art. 34 I. loc. è, pertanto, esente da IVA e, decidendosi la causa nel merito, va accolta la domanda di rimborso della società cooperativa contribuente. Le spese del doppio grado di merito, stante la particolare natura della controversia, sono integralmente compensate tra le parti, mentre le spese del giudizio di legittimità sono soggette a soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
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- Q. M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie la domanda del contribuente;