L’AGENZIA DELLE ENTRATE EMETTE TRE AVVISI DI ACCERTAMENTO AVENDO RILEVATO LA OMESSA COMPILAZIONE DEL MODELLO RW IN RELAZIONE ALLE MOVIMENTAZIONI FINANZIARIE ESEGUITE SUL CONTO CORRENTE PRESSO UN ISTITUTO DI CREDITO SVIZZERO. L’INTERPRETAZIONE DELLA NORMA ERA, PERO’, ERRATA. MOTIVI DEL CONTRIBUENTE ACCOLTI.

L’Agenzia delle Entrate emetteva tre avvisi di accertamento avendo rilevato la omessa compilazione del modello RW nelle dichiarazioni dei redditi in relazione alle movimentazioni finanziarie eseguite sul conto corrente esistente presso un istituto di credito svizzero. L’interpretazione della norma da parte dell’Ufficio era, però, errata. Motivi accolti.

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FATTI DI CAUSA L’Agenzia delle Entrate emetteva tre avvisi di accertamento avendo rilevato la omessa compilazione del modello RW nelle dichiarazioni dei redditi relative agli anni 2005-2006 e 2007 in relazione alle movimentazioni finanziarie eseguite sul conto corrente esistente presso un istituto di credito svizzero (HSBC), intestato, in violazione dell’art. 4 della legge n. 227/1980. In particolare, l’accertamento si fondava su informazioni derivanti dalla cd. “Lista Falciani”, ossia da una scheda di sintesi – denominata “fiche” – contenente indicazione del conto, del suo titolare e delle movimentazioni eseguite, trasmesse dalla autorità finanziaria francese a quella italiana attraverso canali di collaborazione previsti dalla Direttiva n. 77/799/CEE; le movimentazioni riscontrate, ai sensi dell’art. 12 della legge n. 78/2009, erano state considerate dall’Ufficio redditi non dichiarati soggetti a tassazione. I contribuenti proponevano tre distinti ricorsi, deducendo la nullità dell’accertamento per violazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600/73, la nullità degli atti per carenza di motivazione, la nullità del p.v.c. perché basato su documenti acquisiti illecitamente, nonché la nullità degli avvisi di accertamento per erronea applicazione dell’art. 12 della legge n. 78/09, oltre che per mancato assolvimento dell’onere della prova in capo all’Ufficio. La Commissione tributaria provinciale, previa riunione dei procedimenti, li respingeva ritenendo corretto l’operato dell’Ufficio. La sentenza veniva impugnata dai contribuenti dinanzi alla Commissione Tributaria regionale, che rigettava l’appello, rilevando che correttamente il giudice di primo grado aveva applicato al caso in esame il raddoppio dei termini di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600/73, previsto dal comma 2-bis dell’art. 12 d.l. n. 78/09, e che era motivato l’avviso di accertamento, che faceva riferimento al p.v.c.; motivava, inoltre, che erano utilizzabili ai fini del recupero fiscale i dati acquisiti dalla cd. “Lista Falciani”, spontaneamente forniti dalle autorità di altro paese in ottemperanza alla direttiva n. 77/799/CEE, e che era, dunque, legittimo il recupero a tassazione, in difetto di elementi di prova contraria idonei ad evidenziarne la infondatezza. I contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione, affidandolo a sei motivi, illustrati con memoria ex art. 378 cod. proc. civ.. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE 1. I contribuenti, con il primo motivo, prospettano la violazione degli artt. 11 delle disposizioni sulla legge in generale (cd. “preleggi”), 43 del d.P.R. n. 600/73, 1 e 3 della legge n. 212/2001 e 12 d.l. n. 78/09, assumendo che la Commissione tributaria regionale ha erroneamente ritenuto applicabile retroattivamente il raddoppio – previsto dal comma 2-bis dell’art. 12 del d.l. n. 78 del 2009 – del termine per la notifica dell’avviso inerente l’accertamento di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600/73 relativo all’anno di imposta 2005, atteso che l’art. 12 comma 2-bis del d.l. n. 78/09, entrato in vigore a far data dal 30/12/09, esplica i suoi effetti soltanto a partire dall’anno d’imposta 2010. 2. Con il secondo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione delle disposizioni normative richiamate nella rubrica del primo motivo, per avere il giudice di appello ritenuto applicabile retroattivamente, con riferimento agli avvisi di accertamento inerenti gli anni d’imposta 2005, 2006 e 2007, l’art. 12 del d.l. n. 78/09, introdotto dall’art. 1 del d.l. n. 194/2009, per gli accertamenti di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600/73, contravvenendo al principio generale di irretroattività della legge. Insistono, al riguardo, nel ritenere che la disposizione di cui al comma 2- bis dell’art. 12 d.l. n. 78/09 abbia natura sostanziale, e non procedimentale, come invece sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, non trovando applicazione riguardo alle somme detenute in paesi a fiscalità privilegiata in violazione degli obblighi dichiarativi negli anni precedenti l’entrata in vigore dello stesso decreto n. 78/09. 2.1. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto vedenti sulla medesima questione, meritano accoglimento. L’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78/2009, in vigore dal 1° luglio 2009, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, stabilisce che «in deroga ad ogni vigente disposizione di legge, gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al decreto del Ministro delle Finanze 4 maggio 1999, n. 107, e al decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze 21 novembre 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 23 novembre 2001, n. 273, senza tenere conto delle limitazioni ivi previste, in violazione degli obblighi di dichiarazione di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 4 della legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, ai soli fini fiscali si presumono costituiti, salva la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione…”. Successivamente, con l’aggiunta nel medesimo articolo dei commi 2-bis e 2-ter ad opera del d.l. 30 dicembre 2009, n. 194, è stato previsto il raddoppio dei termini di decadenza per la notifica degli avvisi di accertamento e per la irrogazione delle sanzioni aventi ad oggetto imposte sui redditi ed Iva, nonché per la notifica degli atti di contestazione aventi ad oggetto il mancato rispetto degli obblighi dichiarativi e di monitoraggio fiscale, risultanti dalla mancata compilazione del quadro RW (art. 12, comma 2-bis: «Per l’accertamento basato sulla presunzione di cui al comma 2, i termini dell’articolo 43, primo e secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1993, n. 600, e successive modificazioni, e all’articolo 57, primo e secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, sono raddoppiati) 2.2. Al fine di delineare l’ambito di applicazione di tale ultima norma, che pone, in favore del fisco, una più favorevole presunzione legale relativa di evasione con inversione dell’onere della prova a carico del contribuente e raddoppio dei termini di accertamento, si impone di verificare se essa abbia natura sostanziale o meramente procedimentale. L’Agenzia delle Entrate ha da sempre considerato il disposto normativo di cui all’art. 12 del d.l. n. 78/09 come avente natura procedimentale e, quindi, sostanzialmente retroattivo (si vedano al riguardo la circolare n. 19/E del 12 giugno 2017 e la circolare n. 6/E del 19 febbraio 2015), ma, per costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte, le circolari e le risoluzioni non rientrano tra le fonti del diritto e, di conseguenza, non sono vincolanti né per il contribuente, né per i giudici (Cass. n. 6699 del 21/3/14). L’interpretazione seguita dalla Agenzia delle Entrate, che consente di estendere i termini di decadenza per la notifica degli avvisi di accertamento sulla base dell’art. 12 del d.l. n. 78/09 anche ad anni di imposta anteriori a 2010, si pone, in realtà, in evidente contrasto con l’art. 3 della legge n. 212/00, il quale ha codificato nella materia fiscale il principio generale di irretroattività delle leggi stabilito dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, salvo che questa non sia espressamente prevista (Cass. n. 5015 del 2/4/2003; n. 25722 del 9/12/2009). La esclusione dell’applicazione retroattiva delle disposizioni normative trova, infatti, giustificazione nella esigenza di salvaguardare principi fondamentali del nostro ordinamento, quali la certezza del diritto, il principio del legittimo affidamento e quello di ragionevolezza, nonché i principi contenuti nella Costituzione, quali il diritto alla difesa ed il principio di capacità contributiva. E per tale ragione al divieto di irretroattività fanno eccezione solo le norme dichiaratamente interpretative, che sono esplicitamente qualificate tali dal legislatore. La presunta natura procedimentale della norma di cui all’art. 12, comma 2-bis, del d.l. n. 78/09 collide, altresì, con il tradizionale criterio della sedes materiae, che vede abitualmente le norme in tema di presunzioni collocate nel codice civile e, dunque, di diritto sostanziale, e non già nel codice di rito, e pone il contribuente che, sulla base del quadro normativo previgente, non avrebbe avuto interesse alla conservazione di un certo tipo di documentazione in condizione di sfavore, poiché pregiudica l’effettivo espletamento del diritto di difesa, in violazione dei principi di cui agli artt. 3 e 24 Cost. (Cass. n. 2662 del 2/2/2018). Va, in proposito, sottolineato che, prima della emanazione della norma di cui si discute non erano tassabili come “redditi sottratti a tassazione in Italia”, sia pure in via presuntiva e salvo prova contraria, le somme detenute nei cd. paesi “black list”; proprio a seguito della previsione di una imposizione delle suddette somme, le disposizioni di cui all’art. 12, comma 2- bis del d.l. n. 78/09, pur collocandosi nell’ambito di una disciplina di carattere procedimentale, esplicano effetti sostanziali in punto di determinazione del reddito e influiscono direttamente sul rapporto tributario sostanziale. La disposizione in oggetto fissa, infatti, un meccanismo presuntivo che incide in maniera decisiva sulla ripartizione dell’onere probatorio tra Amministrazione e contribuente e, di conseguenza, come tutte le disposizioni in materia di prova, non ha natura processuale, bensì sostanziale, poiché la sua applicazione comporta una decisione di merito, di accoglimento o di rigetto della domanda (Cass. 4225 del 23/2/2007; n. 717 del 18/1/2001). Alla luce di tali considerazioni risulta condivisibile la tesi difensiva dei ricorrenti, secondo cui le disposizioni introdotte dal d.l. n. 78/2009 hanno un effetto sostanziale, sicchè non può giustificarsi una applicazione retroattiva della norma ad attività di accertamento relative a periodi di imposta pregressi, dato che le nuove disposizioni hanno modificato l’efficacia che viene attribuita alla prova stessa. Nel caso di specie l’obbligo di fornire una prova contraria per evitare l’imposizione verrebbe ad inficiare irrimediabilmente il diritto di difesa dei contribuenti che, prima della introduzione della disposizione normativa, non potevano certamente essere tenuti a precostituirsi una prova in tal senso, dato che la legislazione all’epoca vigente non prevedeva ancora quest’onere. Al momento della introduzione della disposizione normativa richiamata (3 agosto 2009), infatti, il conto corrente alla cui disponibilità è stata applicata la presunzione di cui all’art. 12 del d.l. n. 78/09, risultava già estinto ed il dante causa dei ricorrenti è deceduto prima della entrata in vigore della norma. La irretroattività dell’art. 12, comma 2-bis, del d.l. n. 78/2009 comporta, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di appello, che non possa trovare applicazione, con riguardo agli anni di imposta 2005, 2006 e 2007, il raddoppio dei termini di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600/73, introdotto dal comma 2-bis dell’art. 1 del d.l. n. 78/09.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso e rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità

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