Studio legale Tributario Pirro Milano
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Ritenuto che: il contribuente ha chiesto la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale con la quale, a conferma della pronuncia di primo grado, era stato rigettato il ricorso avverso l’avviso di accertamento, con cui l’Agenzia delle Entrate, con ricostruzione sintetica fondata sul cd. redditometro, aveva rideterminato ai fini Irpef i i maggiori redditi del contribuente. Ha riferito che l’Amministrazione finanziaria aveva calcolato il maggior reddito, ex art. 38 co. 4, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, sulla base di indici di spesa, in particolare l’acquisto di una autovettura, la comproprietà di una abitazione, l’assenza di reddito del coniuge. Tuttavia l’Ufficio aveva proceduto all’accertamento senza operare alcun confronto con i precedenti anni d’imposta, secondo quanto previsto dalla disciplina ratione temporis vigente. Inoltre non aveva tenuto conto che la capacità di spesa fosse giustificata da risparmi ascrivibili alla sfera familiare. Era seguito il contenzioso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, che con sentenza n. aveva rigettato il ricorso. Nel successivo giudizio d’appello la Commissione tributaria regionale aveva confermato le statuizioni di primo grado con la pronuncia ora al vaglio della Corte.
Il ricorrente ha censurato con due motivi la sentenza: con il primo per violazione dell’art. 38, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., per non aver tenuto conto che nell’atto impositivo era stato omesso l’esame di congruità della capacità di spesa anche con riguardo ai precedenti anni d’imposta; con il secondo per violazione degli artt. 6 e 7 della I. 31 luglio 2000, n. 212, nonché degli artt. 41, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., per non aver tenuto conto dell’omessa attivazione del contraddittorio endo procedimentale. Ha dunque chiesto la cassazione della sentenza, dichiarando la nullità dell’avviso di accertamento. L’Agenzia delle entrate si è costituita, contestando le ragioni avverse e chiedendo il rigetto del ricorso. Nell’adunanza camerale del 9 febbraio 2021 la causa è stata trattata e decisa.
Considerato che: Con il primo motivo il ricorrente si duole dell’errata applicazione dell’art. 38, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973, perché il giudice regionale non ha tenuto conto del vizio incidente sulla legittimità dell’atto impositivo, la cui motivazione era del tutto omissiva relativamente al giudizio di compatibilità delle spese sostenute nei periodi d’imposta precedenti. Ha lamentato che, a fronte della contestazione tempestivamente rilevata con l’atto introduttivo della controversia, l’Agenzia, con il controricorso, si era limitata a produrre la dichiarazione del redditi, circostanza erroneamente valorizzata nei gradi di merito, e per quello che qui interessa dal giudice regionale, senza tener conto che già in sede di accertamento, e nel relativo atto impositivo, era invece necessario operare una valutazione di congruità del reddito dichiarato con “due o più periodi d’imposta”.
Il motivo è fondato. La motivazione della pronuncia sul punto si limita a rilevare che «….in base all’applicazione dell’art. 38, 4 0 comma, del DPR n. 600/73, risultando il reddito dichiarato non congruo anche per il 2003, come da documentazione allegata alla costituzione in giudizio in primo grado, l’Ufficio ha accertato sinteticamente il reddito dell’anno del quo».
L’art. 38, comma 4, del d.P.R cit., ratione temporis vigente, enunciava che «L’ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall’art. 39, può, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato. A tal fine, con decreto del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, sono stabilite le modalità in base alle quali l’ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva individuati con lo stesso decreto quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di imposta. Qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei cinque precedenti.». Ebbene, con riguardo alla formulazione allora vigente della norma, questa Corte ha affermato che ai fini dell’accertamento sintetico di cui all’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, l’Ufficio non è tenuto a procedere all’accertamento contestualmente per due o più periodi d’imposta per i quali ritenga che la dichiarazione non sia congrua. Il relativo atto deve contenere tuttavia, per un determinato anno d’imposta, la pur sommaria indicazione delle ragioni in base alle quali la dichiarazione si ritiene incongrua anche per altri periodi d’imposta, così da legittimare l’accertamento sintetico, con la conseguenza che il giudice tributario, a fronte della specifica eccezione del contribuente, non deve limitarsi ad accertare se l’Ufficio abbia preso in considerazione due o più anni consecutivi, ma deve verificare se dall’atto di accertamento possano desumersi le ragioni per le quali l’Ufficio stesso abbia ritenuto non congrua la dichiarazione per tali annualità (Cass., 5/05/2017, n. 10972; 5/11/2008, n. 26541). Si è in particolare avvertito che tale interpretazione discende dal principio generale, proprio della natura dell’atto impositivo, dei limiti di efficacia del medesimo e del conseguente oggetto del processo, che quest’ultimo, in quanto diretto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento impositivo, è strutturato come un giudizio di impugnazione del provvedimento stesso e tale caratteristica circoscrive il dibattito alla pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato, sicché il giudice tributario non può estendere la propria indagine all’esame di circostanze nuove ed estranee a quelle originariamente invocate dall’ufficio (Cass., 20/04/2016, n. 7927; cfr. anche 13/11/2008, n. 27065). Ne discende che il giudice regionale, apprezzando la valutazione di incongruità del reddito del ricorrente, anche con riferimento all’anno 2003, non in relazione a quanto riportato nella motivazione dell’avviso di accertamento impugnato, ma “solo” alla documentazione allegata dall’Ufficio “alla costituzione in giudizio in primo grado”, ha deciso discostandosi dal principio di diritto enunciato. La sentenza va dunque cassata in relazione a quanto evidenziato, dovendo demandarsi al giudice del rinvio un riesame della validità dell’atto impositivo, che tenga conto del motivo di ricorso formulato dal contribuente, e cioè se sia o meno rinvenibile nella motivazione stessa dell’avviso di accertamento un esame della congruità tra reddito e spese anche con riferimento alla annualità precedente. È invece infondato, quando non inammissibile, il secondo motivo del ricorso, con il quale il contribuente ha denunciato la mancata osservanza del contraddittorio endo procedimentale. Deve intanto evidenziarsi che, trattandosi di una critica mossa al procedimento amministrativo conclusosi con l’emissione dell’atto impositivo, essa doveva essere tempestivamente sollevata dal contribuente quale vizio procedimentale dell’atto, esulando del tutto dalle cd. “eccezioni in senso lato”. In ogni caso si tratta di una critica anche infondata perché, tenuto conto della natura delle imposte accertate nei confronti del contribuente, non incluse tra quelle armonizzate (Cass., Sez. U, 9/12/2015, n. 24823), e dell’epoca in cui l’Agenzia ha proceduto all’accertamento, nella quale non era stato ancora previsto l’obbligo del contraddittorio ai fini della determinazione sintetica del reddito complessivo -introdotto solo con l’art. 22, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni in I. 30 luglio 2010, n. 122, applicabile con norma di diritto transitorio solo a partire dal periodo d’imposta 2009 (comma 1 dell’art. 22 cit.)-, il mancato invito al contradditorio non ha inciso sulla validità dell’atto impositivo. A tal fine questa Corte ha chiarito che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata esclusivamente per i tributi “armonizzati” di un obbligo generale di contraddittorio endo procedimentale, pena l’invalidità dell’atto, mentre, per quelli “non armonizzati”, non essendo rinvenibile, nella legislazione nazionale, una prescrizione generale, analoga a quella comunitaria, solo ove risulti specificamente sancito, come avviene per l’accertamento sintetico in virtù dell’art. 38, comma 7, del d.P.R. n. 600 del 1973, nella formulazione introdotta dall’art. 22, comma 1, del dl. n. 78 del 2010, conv. in I. n. 122 del 2010, applicabile, però, solo dal periodo d’imposta 2009, per cui gli accertamenti relativi alle precedenti annualità (come nella presente fattispecie) sono legittimi anche senza l’instaurazione del contraddittorio endo procedimentale (cfr. Cass., 31/05/2016, n. 11283). In conclusione la sentenza va cassata in ragione dell’accoglimento del primo motivo, e rinviata alla Commissione tributaria regionale che, in diversa composizione, oltre che sulle spese del presente giudizio, dovrà riesaminare la controversia attenendosi al principio di diritto sopra enunciato. P.Q.M. Accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo. Cassa la sentenza nei limiti del motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale, cui demanda, in diversa composizione, di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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