L’INDENNITA’ ERA DEDUCIBILE SECONDO IL PRINCIPIO DI COMPETENZA E NON DI CASSA; IN SECONDO LUOGO L’OPERAZIONE DI CONCESSIONE IN COMODATO GRATUITO DELL’IMMOBILE NON POTEVA DIRSI ANTIECONOMICA SONO FONDATI IL PRIMO, TERZO E QUARTO MOTIVO

L’INDENNITA’ ERA DEDUCIBILE SECONDO IL PRINCIPIO DI COMPETENZA E NON DI CASSA; IN SECONDO LUOGO L’OPERAZIONE DI CONCESSIONE IN COMODATO GRATUITO DELL’IMMOBILE NON POTEVA DIRSI ANTIECONOMICA SONO FONDATI IL PRIMO, TERZO E QUARTO MOTIVO

Studio legale Tributario Pirro Milano

oltre che con il modulo consulenze online

può essere contattato all’indirizzo mail studiopirro@libero.it (oggetto mail: “primo contatto”)

oppure al 0229406265; Avvocato Antonella Pirro 3475404943

L’Agenzia delle entrate aveva notificato tre avvisi di accertamento con i quali aveva contestato che l’accantonamento dell’indennità suppletiva di clientela fosse un costo deducibile e che non erano stati contabilizzati ricavi provenienti dalla locazione di un immobile, sito in Spagna, in favore della società s.a., richiedendo, pertanto, una maggiore Irpeg, Ires, Irap e Iva; avverso i suddetti atti impositivi la società aveva proposto ricorso che era stato parzialmente accolto limitatamente al rilievo in materia di omesso assoggettamento ad Iva di canoni di locazione dell’immobile in favore della società s.a.; avverso la sentenza del giudice di primo grado la società e l’Agenzia delle entrate avevano proposto appello per le parti della decisione a sé sfavorevole.

La Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate e rigettato quello proposto dalla società, in particolare ha ritenuto che: era legittima la ripresa relativa al mancato assoggettamento ad Iva del canone locazione dell’immobile sito in Spagna in favore della società s.a., atteso che, nella specie, ai fini della territorialità della prestazione, doveva farsi riferimento al luogo in cui la ricorrente aveva sede; era legittima anche la pretesa relativa alla non deducibilità per competenza dell’indennità suppletiva di clientela, sia in quanto la normativa sul punto era chiara, sia in quanto, nella fattispecie, mancavano i requisiti di certezza e determinabilità oggettiva della suddetta indennità; infine, relativamente alla pretesa per ricavi non contabilizzati, era infondata la linea difensiva di parte ricorrente secondo cui i suddetti ricavi erano legittimi in quanto connessi a un bene concesso in comodato al fine di consentire alla contribuente, come concedente, di potere ottenere delle pretese della comodataria nei suoi confronti nell’ambito del rapporto di agenzia; in particolare, la “ricostruzione del processo negoziale” posto in essere tra le parti confliggeva “con la natura e la causa del contratto di comodato, contratto tipico a titolo gratuito“, sicché l’esistenza di un collegamento negoziale con altri rapporti tra le stesse parti era indicativo della corrispettività del godimento concesso; i rapporti commerciali, peraltro, erano fondati solo su accordi verbali, in modo contrastante con la portata economica degli stessi, senza che potesse evincersi il vantaggio economico corrispondente.

Avverso la suddetta pronuncia ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a sei motivi di censura, illustrati con successiva memoria, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.

Ragioni della decisione

  1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 105, d.P.R. n. 917/1986, e dell’art. 1751, cod. civ., per avere ritenuto non deducibili per competenza gli accantonamenti dell’indennità suppletiva di clientela.

1.1. Il motivo è fondato.

Questa Corte (Cass. Civ., 16 novembre 2018, n. 29529), pronunciando nuovamente sulla questione della deducibilità per competenza degli accantonamenti dell’indennità suppletiva di clientela, ha affermato il seguente principio di diritto: “L’indennità suppletiva di clientela spettante agli agenti è inclusa tra le “indennità per la cessazione di rapporti di agenzia“, cui fa riferimento il T.U.I.R. all’art. 16 (ora 17), comma 1, lettera d), richiamato dal T.U.I.R., art. 70 (ora 105), comma 3, locuzione che si riferisce alla materia regolata dall’art. 1751 c.c., modificato dal D.Lgs. n. 303 del 1991, di attuazione della Dir. n. 86/653/CEE, che prescinde dall’origine codicistica o contrattuale dell’indennità stessa, sicché, dal 10 gennaio 1993, data di entrata in vigore della nuova regolamentazione, l’indennità è deducibile secondo il principio di competenza e non per cassa, irrilevante il carattere aleatorio della stessa“.

In particolare, è stato posto in evidenza, fra l’altro, che: a) l’art. 1751 c.c. contiene ormai l’intera disciplina dell’indennità di fine rapporto dell’agente di commercio, essendo caduta la pregressa distinzione fra “indennità di scioglimento del contratto” (obbligatoria perché di origine codicistica) ed “indennità suppletiva di clientela”, prevista dalla contrattazione collettiva e fruibile solo a determinate condizioni (cfr. Cass. nn. 2126/2001 e 4586/1991); b) l’espressione “indennità, per la cessazione di rapporti di agenzia”, contenuta nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, lett. d) “ratione temporis vigente”, ha una portata estesa, senza ulteriori distinzioni, alla materia regolata dall’art. 1751 c.c.; c) a fronte del chiaro dato normativo e della conseguita unitarietà del trattamento di fine rapporto dell’agente di commercio, non sarebbe corretto fondare l’indeducibilità dei relativi accantonamenti sul suo carattere aleatorio, dal momento che anche i fondi di previdenza del personale, cui si riferisce il medesimo art. 70, comma 1, cit. e, in genere, tutti gli accantonamenti per rischi, cui si riferiscono gli articoli successivi, contemplano spese di carattere aleatorio; d) il legislatore, favorendo l’accantonamento mediante un beneficio fiscale, ha inteso favorire il comportamento previdente del preponente e, al tempo stesso, tutelare l’agente, quale soggetto contrattualmente più debole; e) vi è una indubbia tendenza legislativa ad uniformare, in tema di reddito d’impresa, e specificamente di accantonamenti, i diversi criteri contabili imposti dalle norme civilistiche o specificamente stabiliti da quelle tributarie (Cass. civ., n. 15213/2000); f) la stessa amministrazione finanziaria, con le risoluzioni 21 luglio 1976, n. 8/731 e 9 aprile 2004 n. 59/E, aveva chiarito come, ai fini della deduzione degli accantonamenti al fondo ISC, in base al combinato disposto dal nuovo T.U.I.R., artt. 105, comma 4, e art. 17, comma 1, non contasse la circostanza che talune componenti della complessiva indennità avessero natura aleatoria (come l’indennità suppletiva di clientela), eliminando così ogni dubbio sulla deducibilità di accantonamenti per accadimenti anche solo eventuali. In base alle suddette considerazioni, si è quindi ritenuto che, in conseguenza della nuova configurazione data dal decreto legislativo n. 303/1991, all’art. 1751, cod. civ., in esecuzione della Direttiva n. 86/653/CEE (e a decorrere, quindi, dal 1 gennaio 1993, data di entrata in vigore della disposizione) l’indennità in questione “rientra pacificamente nel nuovo T.U.I.R., art. 105, comma 4, (vecchio T.U.I.R., art. 70) – nei quali la deducibilità ai fini delle imposte sui redditi si ha per competenza, e non per cassa”. Pertanto, non correttamente il giudice del gravame ha ritenuto che l’indennità suppletiva di clientela non fosse deducibile e che mancasse la “certezza e determinabilità oggettiva”, profilo, quest’ultimo, evidentemente riconducibile alla non corretta impostazione di fondo secondo cui sarebbe ostativo al riconoscimento della deducibilità per competenza il carattere aleatorio dell’indennità in esame. Né rileva, infine, l’accertamento, compiuto in sentenza, del momento conclusivo del rapporto di agenzia, in quanto, come precisato, l’indennità in questione è deducibile ai fini delle imposte di redditi secondo il principio di competenza, dunque in relazione agli accantonamenti compiuti durante il rapporto di agenzia, non rilevando, invece, il diverso momento dell’eventuale corresponsione.

  1. Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza per omessa e insufficiente motivazione sulla questione relativa ai ricavi non contabilizzati concernente l’immobile sito in Spagna e concesso in comodato a s.a. In particolare, parte ricorrente evidenzia che: la pronuncia si fonda su di un assunto non vero, cioè che la ricorrente avesse affermato di avere percepito ricavi da s.a. a titolo di corrispettivo per la concessione in uso dell’immobile in Spagna; inoltre, sussistevano ragioni di natura commerciale a giustificazione della concessione a titolo di comodato gratuito in favore di s.a.; l’operazione realizzata aveva comportato il conseguimento di un margine di guadagno; non è dato comprendere il ragionamento logico e giuridico sulla cui base si è ritenuto che il godimento concesso doveva essere considerato a titolo oneroso.
  2. Con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 40, d.P.R. n. 600/1973, e degli artt. 2727, 2729 e 2697, cod. civ., sulla questione relativa ai ricavi non contabilizzati concernente l’immobile sito in Spagna e concesso in comodato s.a.. In particolare, parte ricorrente evidenzia che la sentenza censurata ha ritenuto che la contribuente avesse percepito ricavi non dichiarati per avere dato in godimento il proprio immobile in Spagna a s.a. sulla base della ritenuta antieconomicità della concessione a titolo di comodato del suddetto immobile, ma tale circostanza non è stata supportata da elementi presuntivi dotati della gravità, precisione e concordanza. 4.1. I motivi, che possono essere esaminati unitariamente, in quanto attengono alla medesima questione della legittimità della pretesa relativa alla mancata contabilizzazione di ricavi derivanti dalla concessione in godimento di un immobile, sito in Spagna, sono fondati. Va osservato, in generale, che, anche tenuto conto di quanto affermato in controricorso, la pretesa in esame si era basata sulla considerazione di fondo che la concessione dell’immobile a titolo di godimento gratuito in favore di s.a (agente della contribuente) non poteva trovare giustificazione in quanto non era ravvisabile alcun vantaggio economico, dunque, era in sostanza il profilo della antieconomicità dell’operazione che era stato valorizzato dall’amministrazione finanziaria ai fini della pretesa fatta valere nei confronti della contribuente 4.2. Ciò posto, va quindi osservato che, in tema di accertamento, l’Amministrazione finanziaria può determinare il reddito del contribuente in via induttiva, pur in presenza di contabilità formalmente regolare, ove quest’ultima sia intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, che può desumersi anche da un unico elemento presuntivo, purché preciso e grave (Cass. civ., 30 ottobre 2018 n. 27552), sicché, una volta valutata l’idoneità probatoria della prova presuntiva, è onere del contribuente fornire la prova contraria. Nel caso di specie, il giudice a quo, nel valutare l’antieconomicità dell’operazione di concessione in comodato gratuito dell’immobile, si è limitato ad osservare che i rapporti commerciali cui la contribuente aveva fatto riferimento per giustificare la concessione in comodato dell’immobile non erano stati stipulati per iscritto e che, inoltre, non era riscontrabile il vantaggio economico corrispondente. Sicché, non è dato in alcun modo riscontrare la circostanza di fatto sulla cui base il giudice del gravame ha ritenuto di fondare la sussistenza della presunzione della antieconomicità dell’operazione in esame e, in particolare, il giudizio di gravità e precisione e concordanza che ha consentito di accertare il comportamento antieconomico da cui evincere, in via presuntiva, l’esistenza di ricavi non dichiarati derivanti dalla concessione a titolo oneroso del godimento dell’immobile in favore dell’agente in Spagna s.a.. Sotto tale profilo, il giudice del gravame ha totalmente omesso ogni considerazione in ordine al fatto che dal rapporto instaurato tra la contribuente ed il suo agente era derivato, per il 2004, il conseguimento di un notevole profitto e di un elevato. 4.3. D’altro lato, anche il passaggio motivazionale della sentenza censurata, con il quale, in sostanza, è stato ritenuto che il godimento dell’immobile era a titolo “corrispettivo”, si fonda su di un ragionamento logico insufficiente e, comunque, contraddittorio. In sentenza, in sostanza, la natura onerosa della concessione in godimento dell’immobile viene fatta derivare dalla considerazione che la suddetta concessione doveva essere valutata alla luce dell’intero rapporto negoziale posto in essere tra le parti (così deve essere intesa l’affermazione secondo cui “il rapporto di presupposizione dichiarato (cioè il collegamento con altre situazioni negoziali intercorrenti tra le parti) denuncia la corrispettività del godimento concesso)”. Tuttavia, va osservato che la sentenza risulta avere omesso qualunque specificazione in ordine al complesso delle operazioni negoziali da cui ricavare la natura onerosa della concessione in godimento dell’immobile, sicché, in ragione della insufficienza motivazionale, non è possibile seguire il ragionamento logico di stretta conseguenzialità, ipotizzata dal giudice del gravame, tra esistenza di un collegamento negoziale e la necessaria natura onerosa della concessione in godimento; ciò, tanto più ove si consideri che non è in contrasto con la gratuità del comodato l’esistenza di un interesse, anche di natura economica, del comodante all’uso del bene da parte del comodatario. Del resto, è la stessa controricorrente che evidenzia, in controricorso che: “Non si può negare che quanto argomentato dalla Società nel proposto ricorso possa apparire plausibile ma solo nel caso in cui non ci si limiti, come invece è avvenuto ed avviene nel caso di specie, a mere esternazioni non sorrette da elementi concreti e/o riscontrabili“. In realtà, la sentenza difetta di sufficiente motivazione proprio in quanto non ha in alcun modo indicato specificamente su quali elementi di fatto ha ritenuto di dovere desumere l’esistenza di un comportamento antieconomico della società, in relazione all’operazione in esame, da cui ricavare le presunzione di maggiori ricavi non dichiarati, e non avendo, inoltre, preso in considerazione la circostanza, evidenziata dalla contribuente, dell’avvenuto conseguimento, nell’anno oggetto di ripresa, di un margine rilevante; la pronuncia in esame, inoltre, risulta avere accertato la natura onerosa del rapporto negoziale in esame senza che possa individuarsi il ragionamento logico seguito, risultando, sul punto, meramente assertiva e generica. Peraltro, in modo contraddittorio, la pronuncia in esame ha, da un lato, dato rilievo al collegamento negoziale esistente tra il contratto di comodo e “altre situazioni negoziali intercorrenti tra le parti” (deducendo dallo stesso il venire meno della causa tipica del negozio in oggetto); d’altro lato, ha ritenuto che i suddetti rapporti negoziali erano fondanti esclusivamente su accordi verbali, svalutandone, pertanto, la rilevanza ad essi attribuiti nel primo passaggio argomentativo sopra indicato.

In conclusione, sono fondati, il primo, terzo e quarto motivo, assorbito il secondo, infondati il quinto ed il sesto, con conseguente cassazione della sentenza per i motivi accolti e rinvio alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Studio legale Tributario Pirro Milano

oltre che con il modulo consulenze online

può essere contattato all’indirizzo mail studiopirro@libero.it (oggetto mail: “primo contatto”)

oppure al 0229406265; Avvocato Antonella Pirro 3475404943

P.Q.M.

La Corte: accoglie il primo, terzo e quarto motivo, assorbito il secondo, infondati il quinto e sesto, con conseguente rinvio alla Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.