Il contribuente non era tenuto alla compilazione del quadro RW; inoltre non poteva essere sanzionato per la violazione delle norme sul monitoraggio fiscale. Lo ius superveniens, poi, prevedeva che non si potesse più sanzionare quella determinata fattispecie tributaria. Ricorso dell’Ente impositore Agenzia delle Entrate respinto: il giudice condanna l’Agenzia delle Entrate a rifondere le spese legali al contribuente.
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Nella Civile Ord. Sez. 5 Num. 27662 Anno 2020 l’Agenzia delle entrate notificava un questionario con il quale la invitava a depositare documentazione relativa ad investimenti e trasferimenti di danaro verso l’estero effettuati nel periodo 2005-2009, non dichiarati nel modello RW delle dichiarazioni dei redditi.
In difetto di risposta, l’Ufficio notificava atto di contestazione con il quale, in relazione all’anno d’imposta 2007, riscontrata la omessa indicazione nella dichiarazione dei redditi e nell’apposito modulo degli investimenti all’estero e dei trasferimenti da, verso e sull’estero relativi ad attività finanziarie all’estero, contestava le violazioni commesse e determinava le relative sanzioni previste dall’art. 5 del d.l. n. 167 del 1990, per omessa compilazione del modulo RW, e dall’art. 11 del d.lgs. n. 471 del 1997, per mancata restituzione del questionario.
A seguito di istanza di autotutela, l’Ufficio, accogliendo parzialmente i rilievi formulati, notificava alla contribuente atto di irrogazione sanzioni con il quale applicava le sanzioni relative alle violazioni accertate.
Avverso il suddetto atto ricorreva la contribuente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Lecco, deducendo, per quanto in sede rileva, che, trattandosi di valori intestati ad una società fiduciaria, i trasferimenti oggetto di contestazione non erano inquadrabili tra le operazioni per le quali era previsto l’obbligo di compilazione del modulo RW.
I giudici provinciali accoglievano il ricorso con sentenza che veniva impugnata dall’Amministrazione finanziaria dinanzi alla Commissione regionale della Lombardia, la quale confermava la sentenza di primo grado.
Riteneva, in particolare, che per l’operazione di cui si discuteva non era previsto l’obbligo della compilazione del quadro RW, trattandosi di valori intestati fiduciariamente alla società F. s.r.l.
Ricorre per la cassazione della suddetta decisione l’Agenzia delle entrate, con un unico motivo, cui resiste la contribuente mediante controricorso.
Considerato che: 1. Con l’unico motivo la difesa erariale deducendo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 del d.l. n. 167 del 1990, convertito dalla I. n. 227 del 1990, sostiene che la Commissione regionale ha violato le norme richiamate, considerato che, per orientamento costante di questa Corte (Cass. n. 11715 del 2011; Cass. n. 17051 del 2010; Cass. 10332 del 2007; Cass. n. 9320 del 2003), l’obbligo di dichiarazione di cui al citato art. 4 del d.l. n. 167 del 1990 riguarda non solo l’intestatario formale ed il beneficiario effettivo di investimenti o attività di natura finanziaria all’estero, ma anche colui che, all’estero, abbia la disponibilità di fatto di somme di denaro non proprie, con il compito fiduciario di traferirle all’effettivo beneficiario.
- Occorre premettere che l’atto di irrogazione delle sanzioni impugnato, a differenza del precedente atto di contestazione delle sanzioni che è stato oggetto di istanza di autotutela da parte della contribuente, contiene sia la contestazione della omessa compilazione del quadro RW in relazione ad investimenti ed altre attività finanziarie all’estero ed a trasferimenti da, verso e sull’estero (art. 5 del d.l. n. 167 del 1990), sia la contestazione della mancata restituzione di questionari richiesti dall’Ufficio nell’esercizio dei poteri di verifica (art. 11, comma 1, d.lgs. n. 471 del 1997).
In grado di appello, come si evince dalla decisione impugnata, l’Agenzia delle entrate ha chiesto la integrale conferma dell’avviso, ribadendo che il d.l. n. 167 del 1990 prevedeva a carico delle persone fisiche l’obbligo di dichiarare gli investimenti all’estero e rilevando che la ricorrente nulla aveva contestato in merito alla sanzione irrogata per mancata restituzione dei questionari; la contribuente, costituendosi in giudizio, premesso che il finanziamento infruttifero di euro 1.332.500,00 si riferiva a valori intestati fiduciariamente alla F. s.r.l., alla quale aveva conferito l’incarico di incassare eventuali proventi scaturenti dall’attività finanziaria, ha dedotto che l’art. 4, comma 4, del d.l. n. 167 del 1990 non prevedeva obblighi di indicazione in dichiarazione dei redditi per certificati e titoli affidati in gestione ad intermediari residenti.
Avendo la Commissione regionale rigettato l’impugnazione dell’Ufficio sulla base della sola considerazione che «per l’operazione di cui trattasi non è previsto l’obbligo di compilazione del quadro denominato RW, trattandosi di valori intestati fiduciariamente alla F. s.r.l.», la censura formulata con il ricorso per cassazione investe tale statuizione che attiene esclusivamente alle sanzioni irrogate per mancata compilazione del quadro RW in relazione a trasferimenti all’estero e si riferisce, in particolare, al finanziamento infruttifero di euro 1.332.500,00, oggetto del mandato fiduciario.
Il motivo è infondato per due distinte ragioni, ciascuna delle quali sufficiente a determinarne il rigetto.
La Commissione regionale, accertata l’esistenza, non contestata dall’Amministrazione finanziaria, di un mandato fiduciario tra la contribuente e la società F. s.r.l., con sede a Milano, avente ad oggetto il credito per finanziamento soci infruttifero del valore di euro 1.332.500,00 concesso alla società A. S. I. SA, ha correttamente rilevato l’assenza dell’obbligo di compilazione del quadro RW, in conformità a quanto previsto dal comma 4 dell’art. 4 del d.l. n. 167 del 1990, convertito dalla I. n. 227 del 1990, nella versione temporalmente applicabile, che lo esclude «per i certificati in serie o di massa ed i titoli affidati in gestione od in amministrazione agli intermediari residenti soggetti all’imposta sostitutiva di cui all’art. 2, commi 1-bis e 1-ter d.lgs. 1 aprile 1996, n. 239, indicati nell’articolo 1, per i contratti conclusi attraverso il loro intervento, anche in qualità di controparti, nonché per i depositi ed i conti correnti, a condizione che i redditi derivanti da tale attività estere di natura finanziaria siano riscossi attraverso l’intervento degli intermediari stessi». In senso conforme si è espressa la stessa Agenzia delle entrate, che, con i documenti di prassi (circolare n. 43/E del 10 ottobre 2009, par. 2; circolare n. 45/E del 13 settembre 2010, par. 2.3.), ha chiarito che gli obblighi di comunicazione di cui all’art. 4 del d.l. n. 167 del 1990 non sussistono per le attività estere di natura finanziaria affidate in gestione o in amministrazione ad intermediari residenti, per i contratti conclusi attraverso il loro intervento, oltre che per i depositi e conti correnti, sempre che l’intermediario sia incaricato di riscuotere i redditi derivanti dalle attività finanziarie. Del tutto inconferente risulta, pertanto, la giurisprudenza richiamata dalla difesa erariale a sostegno del motivo di ricorso (Cass. n. 11715 del 2011; Cass. n. 17051 del 2010; Cass. n. 10332 del 2007), seguita da successive pronunce di questa Corte (Cass. n. 16404 del 2015; Cass. n. 26848 del 2014; Cass. n. 25956 del 2019), poiché essa concerne la diversa ipotesi degli «investimenti» detenuti all’estero, in ordine ai quali questa Corte ha statuito il principio secondo il quale l’obbligo di compilazione del quadro RW, previsto dall’art. 4 del di. n. 167 del 1990, riguarda non solo l’intestatario formale ed il beneficiario effettivo di investimenti o attività di natura finanziaria all’estero, ma anche colui che, all’estero, abbia la detenzione o la disponibilità di fatto di somme di denaro non proprie, con il compito fiduciario di movimentarle a beneficio dell’effettivo titolare, dovendosi dare rilievo, tenuto conto della ratio della previsione (cd. monitoraggio fiscale), ad una nozione onnicomprensiva di detenzione all’estero, che include anche la detenzione nell’interesse altrui, potendo questa costituire idoneo strumento di occultamento e, quindi, di sottrazione al controllo degli investimenti e delle attività finanziarie indicati dalla norma.
Il motivo di ricorso è, inoltre, infondato se si considera che l’art. 9 della legge 6 agosto 2013, n. 97 (legge europea 2013), apportando modifiche al d.l. 28 giugno 1990, n. 167 (convertito dalla legge 4 agosto 1990, n. 227), ha sostituito gli artt. 4 e 5 del d.l. n. 167 del 1990, eliminando l’obbligo, previsto nel previgente testo del comma 2 dell’art. 4, di indicare, nella dichiarazione dei redditi, «l’ammontare dei trasferimenti da, verso e sull’estero che nel corso dell’anno hanno interessato gli investimenti all’estero e le attività estere di natura finanziaria», violazione originariamente punita ai sensi del comma 5 dell’art. 5, anch’esso abrogato. Conseguentemente, come chiarito da questa Corte, in forza del principio di legalità di cui all’art. 4, comma 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, secondo il quale «nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile», la controricorrente non può più essere assoggettata alla sanzione irrogatagli con il provvedimento impugnato, dovendo lo ius superveniens, rappresentato dall’abrogazione della norma che prevedeva l’illecito, trovare applicazione, anche di ufficio, in ogni stato e grado del processo, qualora, come nel caso di specie, il provvedimento impugnato non sia divenuto definitivo (Cass., sez. 5, 21/12/2016, n. 26479; Cass., sez. 5, 27/03/2001, n. 4408; Cass., sez. 5, 30/8/2006, n. 18775). Si è pure precisato (Cass., sez. 5, 21/12/2016, n. 26479) che «nella fattispecie che ci occupa è applicabile l’art. 3 del d.lgs. n. 472 del 1997 e non l’art. 23-bis del d.P.R. n. 143 del 1988 (aggiunto dall’art. 1 della legge n. 326 de 2000), che ha introdotto il principio di legalità anche in materia di sanzioni per violazioni valutarie, poiché l’illecito in esame aveva natura tributaria, concernendo un obbligo relativo al contenuto della dichiarazione dei redditi». 6. In conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato. Le spese relative al presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
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P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.