OGGETTO DEL CONTENDERE E’ LA QUANTIFICAZIONE DEL VALORE DI AVVIAMENTO: L’UFFICIO RETTIFICA IL VALORE DI AVVIAMENTO DEI 4 NEGOZI FINO A QUANDO LA COMMISSIONE RIGETTA L’APPELLO DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO del 06/02/2020 n. 343 – Comm. Trib. Reg. per la Lombardia Sezione/Collegio 21

L’agenzia delle Entrate Direzione Provinciale II di Milano propone appello nei confronti della sentenza n. 4022/5/2018 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano in data 29.5.2018, con la quale viene respinto il ricorso proposto dalle società B. A. e dalla Società D. spa, che impugnano l’avviso di rettifica e liquidazione emesso dall’Ufficio, con il quale in relazione ad un contratto di compravendita di rami di azienda stipulato tra le parti ricorrenti il 30.1.2015 e registrato il 12.2.2015, era stato rettificato il valore complessivo dichiarato dei beni aziendali ceduti pari ad euro 1.164.205, ritenendo congruo il valore attribuito alle attrezzature e merci pari a euro 1.006.205, e rettificando il valore di avviamento, che la parte determinava in euro 158.000 e che l’Ufficio rettificava in euro 2.052.097.

Quindi, oggetto del contendere è la quantificazione del valore di avviamento ceduto con la suddetta compravendita.

L’Ufficio rettifica il valore di avviamento dei 4 negozi oggetto della compravendita, utilizzando il cd metodo patrimoniale complesso ed applicando una percentuale del 20% sul fatturato medio conseguito dai negozi in esame, tenendo conto della media dei ricavi conseguiti dai punti vendita negli ultimi tre anni antecedenti la cessione, e del noto brand associato agli ipermercati della grande distribuzione.

Con l’avviso viene accertata la maggiore imposta di registro pari ad euro 56.823,oltre interessi e sanzioni.

La sentenza, premesso che secondo la piu’ recente giurisprudenza di legittimità, l’art. 51 comma 4 DPR 131/86 dà rilevanza anche all’avviamento di segno negativo, afferma che la base imponibile dell’imposta di registro deve essere il piu’ possibile conforme al valore dell’azienda in condizioni di libero mercato, edevidenzia quanto segue:

-la parte ha dato rilievo e provato una serie di fattori contingenti che hanno inciso di fatto nella determinazione del valore di avviamento da riconoscere ai beni ceduti ed in particolare che la vendita dei 4 negozi (ubicati in zona commercialmente non favorevole, con redditività inferiore alla media nazionale, con oneri fissi superiori alla media nazionale , e in perdita gestionale perdurante anche dopo la cessione, con licenziamento del personale) si inseriva in una piu’ ampia operazione di dismissione da parte del gruppo di appartenenza R., con la vendita di 150 punti vendita in Italia.

L’Ufficio non ha contestato i fattori negativi invocati dalla parte e non ha giustificato il perché, nonostante la loro presenza, li abbia ritenuti irrilevanti e ha applicato un coefficiente pari al 20% del fatturato, vicino al 25%, che l’Ufficio individua come la punta massima del range utilizzabile per i punti vendita alimentari. Ha utilizzato un criterio astratto, senza dimostrare perché il valore rettificato fosse comunque adeguato alla realtà aziendale concreta nella quale operavano le attività oggetto di cessione.

Secondo la sentenza, l’avvenuta cessione dei 4 punti vendita avviene senza trasferire all’acquirente il marchio B., che rappresentata parte determinante del valore di avviamento.

L’Ufficio presenta appello e chiede la riforma della sentenza impugnata.

Dopo avere premesso di aver utilizzato il metodo dei multipli, stimando il valore dell’azienda in funzione dei prezzi correnti assegnati dal mercato ad attività similari, valorizzando le opportunità future di creazione del valore, ribadisce di avere assolto all’obbligo di motivazione, enunciando il petitum e le relative ragioni in termini sufficienti a definire la materia del contendere, essendo sufficiente che la motivazione enunci i criteri astratti adottati nella determinazione del maggior valore, riguardando il tema della prova ogni questione sulla idoneità in concreto del criterio applicato.

L’Ufficio ribadisce di non avere tenuto conto del marchio ai fini del calcolo dell’avviamento, in quanto è stato utilizzato il metodo della percentuale su fatturato, valorizzando gli intangibili generici (quali fiducia della clientela, buona collocazione logistica, rete di vendita ecc),utilizzando la media dei ricavi conseguiti dai punti vendita negli ultimi tre anni antecedenti la cessione anche in relazione i fattori segnalati dalla parte (maggiori oneri fissi, minore redditività ecc.).

In particolare, l’Ufficio deduce che anche per le aziende in perdita si puo’ calcolare il valore della prospettiva aziendale , diventando cruciale il potenziale soggetto acquirente, cosiddetto acquirentespecifico, potendo incidere sulla valutazione del valore di avviamento non solo le cause della crisi, bensi’ anche le azioni future, essendo determinanti non solo i profitti che la azienda ceduta è in grado di generare, bensì anche i profitti che potranno essere prodotti attraverso l’apporto di nuove risorse e competenze da parte del cessionario.

Si costituiscono in giudizio le società appellate e chiedono il rigetto dell’appello dell’Ufficio e la conferma della sentenza impugnata.

– Le Società appellate controdeducono che è corretta la sentenza nella paiie nella quale afferma il vizio di motivazione e la illegittimità dell’atto impugnato di rettifica in quanto l’Ufficio

non ha sufficientemente dimostrato che il valore di avviamento rideterminato sulla base di un criterio astratto fosse da ritenersi in concreto adeguato alla realtà aziendale”,

nella quale è stata posta in essere l’attività ceduta.

Con riguardo al motivo di appello relativo all’esistenza di avviamento anche in caso di perdita, le Società appellate controdeducono che tale argomento è inconferente, essendo oggetto del presente giudizio l’incidenza effettiva delle perdite di esercizio e delle altre circostanze di carattere negativo, non smentite dall’Ufficio, sulla determinazione del valore di avviamento.

Infine, controdeducono che l’Ufficio appellante nulla rileva a proposito dell’inserimento della compravendita oggetto di causa in una ben piu’ ampia operazione di dismissione del business in Italia dell’attività del gruppo di appartenenza R., affermato in sentenza e non contestato dall’Ufficio.

Le appellate citano da ultimo giurisprudenza di merito favorevole alla Società con riguardo alla cessione di altri punti vendita sempre relativi alla stessa operazione relativa al gruppo R..

La Commissione dopo la discussione decide come da dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’appello dell’Ufficio appare infondato e deve essere respinto.

E’ condivisibile l’impostazione della sentenza impugnata, che, in sintesi, evidenzia la approssimazione e la arbitrarietà della percentuale di fatturato del 20%, applicata alla media dei ricavi registrati da ciascun punto vendita nel triennio ante cessione, senza la valorizzazione delle specificità dei punti vendita in esame e delle circostanze di carattere negativo, evidenziate dalle Società contribuenti e non contestate dall’Ufficio.

Appare opportuno, al riguardo, premettere che, la Suprema Corte di legittimità con numerose pronunce, recentemente riconfermate con sentenza Cassazione n. 7750 del 20.3.2019, ha ritenuto

“ancora adoperabile il criterio di calcolo del valore di avviamento che il legislatore aveva previsto per /’accertamento con adesione con il DPR 460 del 1992, art. 2 comma 4″( Cassazione n. 613 del 2006 e Cassazione n.1170 del 2008) ed ha statuito che “ai fini del calcolo del valore di avviamento commerciale quale parte del corrispettivo di cessione di azienda, per la determinazione della base imponibile dell’imposta di registro secondo il disposto del DPR 131/1986 art. 51 e DPR 460 del 1996, art. 2 comma 4, disposizione quest’ultima avente la funzione di fungere da parametro minimo per il relativo calcolo, dovrà applicarsi la percentuale di redittività, nella misura ritenuta congrua dal giudice di merito parametrata alla media de ricavi, e non degli utili operativi, accertati, o in mancanza, dichiarati ai fini delle imposte su redditi negli ultimi tre periodo di imposta anteriori a quello in cui è intervenuto il trasferimento, applicando di seguito il moltiplicatore previsto dall’art. 2 comma 4 DPR 460/96” (cfr. Cassazione n. 7324 del 2014 e Cassazione n. 18941 del 2018)”.

Ne deriva che , secondo la Suprema Corte, il D.lgs n. 218 del 1997, che ridisciplina l’accertamento con adesione, ha soppresso il DPR 460 del 1996, non indicando pero’ una metodologia di determinazione del valore di avviamento dell’azienda, ma l’orientamento espresso dal vecchio DPR n.460 del 1996 rimane, ad avviso della Corte di Cassazione, valido sul piano indicativo per quanto riguarda i parametri di riferimento, lasciando al contribuente l’onere di dimostrare, ove lo ritenga, applicando parametri diversi da quelli indicati dal DPR n.460 del 1996, un valore di avviamento inferiore a quello indicato (cfr. ancora Cassazione n. 7750 del 20.3.2019).

Peraltro, conformemente al richiamato orientamento della Cassazione, sebbene il disposto del DPR n. 460 del 1996, art. 2 comma 4 riguardi in prima battura il calcolo operato dall’Ufficio, l’AF con la comunicazione n. 52 del 25.7.2003 ha ritenuto che anche il contribuente possa determinare il valore di avviamento secondo il metodo di calcolo previsto dal richiamato DPR n. 460 del 1996.

In conclusione, puo’ affermarsi, sulla base dei principi statuiti dalla Cassazione, che i criteri di cui al DPR n. 460 del 1996 determinano valori minimali di avviamento, in funzione dell’accertamento con adesione, sicchè la loro applicazione integra un sicuro indizio a favore dell’Amministrazione, ma l’AF puo’ impiegare un criterio diverso, dando conto della maggiore affidabilità specifica (Cassazione n. 4931 del 2012), e il contribuente, si ripete, ha l’onere di dimostrare, ove lo ritenga, applicando parametri diversi da quelli indicati dal DPR n. 460 del 1996, un valore di avviamento inferiore a quello indicato (cfr. ancora Cassazione n. 7750 del 20.3.2019).

Applicando tali principi al caso di specie, il Collegio osserva che il motivo dell’Ufficio appellante, secondo il quale i fatti presupposti, dedotti dalla parte, sono stati valorizzati nel calcolo del valore di avviamento, non appare fondato, in quanto dall’atto di rettifica non risulta come gli elementi fattuali negativi, invocati dalla parte e non contestati dall’Ufficio, siano stati effettivamente considerati in relazione alla concreta incidenza sul valore di avviamento.

In realtà, il metodo, per come applicato, risulta oggettivamente avulso e disancorato dalle effettive circostanze fattuali, presupposto della fattispecie concreta, come dedotte dalle parti, limitandosi l’Ufficio ad affermare di averle considerate, affermazione priva della concreta dimostrazione e comunque smentita dalla lettura del contenuto dell’atto di rettifica e liquidazione.

In altri termini, è corretto affermare, come rileva la sentenza impugnata, che l’Ufficio ha erroneamente impiegato una metodologia basata sul solo fatturato, applicando ad esso una percentuale astratta ed uniforme del 20%, che trascura gli elementi differenziali dei 4 punti vendita in esame, senza tenere in considerazione la incidenza dei costi e quindi la situazione reddituale, che caratterizza l’azienda oggetto di valutazione.

Si intende dire che il metodo patrimoniale necessita di essere corroborato da un’analisi reddituale perche’ la valutazione possa essere considerata veritiera, completa ed attendibile, con verifica in concreto della reale situazione dello specifico punto vendita al momento della cessione, giustificando sotto il profilo gestionale-reddituale l’ipotesi formulata, verifica che nella sostanza non risulta effettuata nel caso di specie.

Venendo all’analisi degli specifici motivi di impugnazione, si osserva:

  1. l) In ordine al punto della sentenza, per il quale l’avvenuta cessione dei 4 punti vendita avviene senza trasferire all’acquirente il marchio B., che rappresenta parte determinante del valore di avviamento, l’Ufficio ribadisce di non avere tenuto conto del marchio ai fini del calcolo dell’avviamento, in quanto è stato utilizzato il metodo della percentuale su fatturato, valorizzando gli intangibili generici (quali fiducia della clientela, buona collocazione logistica, rete di vendita ecc),utilizzando la media dei ricavi conseguiti dai punti vendita negli ultimi tre anni antecedenti l cessione anche in relazione ai fattori negativi segnalati dalla parte.

Il rilievo non è fondato in quanto è vero che oggetto della compravendita non è stato il marchio tuttavia è, altresì, vero che l’Ufficio, come ha ribadito anche durante la discussione orale in pubblica udienza, ha scelto di tenere comunque conto del peso che, secondo l’Ufficio, aveva il marchio di originaria appartenenza sulla complessiva operazione di cessione.

A pag. 13 dell’avviso di liquidazione, l’Ufficio afferma di applicare nel caso di specie la percentuale di fatturato del 20%

tenendo in considerazione che si tratta di un noto brand associato agli ipermercati della grande distribuzione”.

Ma in tal modo l’Ufficio, da un lato, valorizza un dato che è estraneo all’ambito della compravendita, e, dall’altro lato, sottovaluta i fattori negativi segnalati dalla parte e non contestati dall’Ufficio (in particolare maggiori oneri fissi e minore redditività), non spiegando la incidenza in concreto di tali fattori, ai fini del calcolo del valore di avviamento, limitandosi in modo formale ad asserire di averne tenuto conto, senza specifica dimostrazione .

– In ordine al punto della sentenza che richiama i fattori negativi, che in concreto hanno inciso sul valore di avviamento, l’Ufficio deduce che, anche per le aziende in perdita, si puo’ calcolare il valore della prospettiva aziendale, diventando cruciale il potenziale soggetto acquirente, cosiddetto acquirente specifico, potendo incidere sulla valutazione del valore di avviamento non solo le cause della crisi, bensi’ anche le azioni future, essendo determinanti non solo i profitti che la azienda ceduta è in grado di generare, bensi’ anche i profitti che potranno essere prodotti attraverso l’apporto di nuove risorse e competenze da parte del cessionario.

Tale rilievo dell’Ufficio appare infondato e smentito nel caso di specie dalle modalità concrete con le quali è avvenuta la cessione in esame( ricerca non agevole dell’acquirente delle 4 attività in esame, le cui criticità di fatto hanno ritardato la cessione nell’ambito della piu’ ampia operazione posta in essere dal Gruppo di appartenenza).

-Sul punto della sentenza, per il quale la parte ha indicato e provato una serie di fattori contingenti, che hanno inciso di fatto sulla determinazione del valore di avviamento da riconoscere ai beni ceduti ( ubicati in zona commercialmente non favorevole, con redditività inferiore alla media nazionale, con oneri fissi superiori alla media nazionale, e in perdita gestionale perdurante anche dopo la cessione, con licenziamento del personale), dimostrando che il prezzo della cessione indicata nel rogito corrisponde al contingente valore di mercato dei negozi oggetto della compravendita, l’Ufficio appellante deduce di avere utilizzato quale grandezza fondamentale la media dei ricavi degli ultimi tre esercizi, criterio che tiene conto, secondo l’appellante, delle particglarità, che incidono sulla determinazione del prezzo di cessione.

Peraltro, l’appellante sottolinea di averne tenuto conto in modo uniforme per tutti e 4 i punti vendita, utilizzando un moltiplicatore omogeneo in funzione della collocazione di tutti e quattro i punti vendita nella stessa regione veneta, mentre le parti adottano un avviamento non omogeneo.

Anche tale rilievo dell’Ufficio non appare fondato, posto che, se è vero che i 4 punti vendita si trovano tutti nel territorio della florida Regione del Veneto, tuttavia tale elemento non è sufficiente a superarne le obbiettive differenze sul piano della redditività e dei costi sostenuti.

Puo’ affermrsi che è lo stesso Ufficio ad ammettere di non avere valorizzato le peculiarità in concreto dei singoli punti vendita, laddove sceglie ed applica una percentuale omogenea del 20% senza distinguere il diverso tessuto imprenditoriale tra la provincia di Padova e quella di Rovigo.

Tanto è vero che il punto vendita di S., subito dopo la cessione, cessa l’attività con licenziamento di tutti i dipendenti.

-Sul punto della sentenza per la quale l’Ufficio non avrebbe preso in considerazione pagamenti non contabilizzati dell’asserito maggior valore, l’appellante deduce che nel calcolo del valore di avviamento, secondo il tenore testuale degli art. 51 e 52 DPR 131/86, l’Ufficio deve prescindere dalle indagini in ordine ad un “corrispettivo occultato”.

Le Società appellate controdeducono che non è rintracciabile in sentenza laffermazione per la quale l’Ufficio non avrebbe preso in considerazione pagamenti non contabilizzati dell’asserito maggior valore. Tale osservazione merita di essere condivisa.

Né risulta fondato il motivo di appello, per il quale l’Agenzia afferma che la pretesa impositiva deriverebbe dall’analisi di altre aziende operanti nello stesso settore, sulla base delle valutazioni assegnate ad aziende confrontabili ed omogenee, determinando il valore delle aziende cedute sulla base dei prezzi correnti assegnati dal mercato ad attività similari. Non c’è traccia nell’atto di rettifica di alcuna analisi condotta sulla base di soggetti comparabili, come correttamente osservano le Società appellate. Manca qualsiasi istruttoria, manca l’indicazione dei soggetti comparabili esaminati e del percorso seguito dall’Agenzia.

Da ultimo, come correttamente affermato in sentenza e non contestato dall’appellante con la formulazione di specifico motivo di impugnazione, l’Ufficio non tiene conto dell’inserimento della compravendita oggetto di causa in una ben piu’ ampia operazione di dismissione del business in Italia dell’attività del gruppo di appartenenza R , affermato in sentenza e non contestato dall’Ufficio, a causa della situazione di avanzata crisi, coinvolgente ben 150 punti vendita in Italia, operazione avvenuta con la collaborazione di soggetto terzo ed indipendente (P C A spa), non interessato, secondo la sentenza, a determinare il prezzo di cessione dei quattro supermercati in misura inferiore di ben due milioni di euro rispetto alle condizioni suggerire dal libero mercato.

Pertanto, in assenza di ogni deduzioni specifica sul punto da parte dell’appellante, puo’ affermarsi che il prezzo della cessione indicata nel rogito corrisponde al contingente valore di mercato dei negozi oggetto di compravendita.

In conclusione, secondo il collegio, l’Ufficio si è limitato ad individuare astrattamente il metodo patrimoniale complesso (patrimonio netto +valore della licenza), senza una adeguata valorizzazione delle caratteristiche proprie e delle specificità dei singoli punti vendita ceduti e dell’inserimento della circoscritta operazione nella concreta piu’ ampia operazione di dismissione del business in Italia dell’attività del gruppo di appartenenza R .

In altri termini, è vero che il metodo patrimoniale utilizzato dall’Ufficio appartiene al novero di quelli accreditati dalla dottrina aziendalistica, metodo peraltro ritenuto corretto per aziende della grande distribuzione, ma non si contesta in sè la validità del metodo, ma se ne contesta la applicazione priva di qualsivoglia riscontro concreto e di metodologia di controllo in relazione alla specificità della fattispecie oggetto di causa.

Tale conclusione, già condivisa dal primo giudice, pare al Collegio del tutto condivisibile per le ragioni esplicitate in motivazione.

La sentenza impugnata deve pertanto essere confermata, con rigetto dell’appello dell’Ufficio.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Commissione rigetta l’appello dell’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale II di Milano, che condanna al pagamento delle spese del grado che liquida in complessivi euro 1500, oltre accessori di legge.