LA CONTRIBUENTE DEDUCEVA LA PRESCRIZIONE DELLE CARTELLE: APPELLO DELLA CONTRIBUENTE RIFORMA INTEGRALMENTE LA PRONUNCIA DEL GIUDICE CHE AVEVA INIZIALMENTE RIGETTATO IL RICORSO

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO del 24/02/2020 n. 616 – Comm. Trib. Reg. per la Lombardia Sezione/Collegio 13

Con separati ricorsi tempestivamente presentati alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, la società ricorrente, E. L. G. s.n.c., impugnava l’intimazione di notificata in data 18 ottobre 2017, nonché la comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria notificata in data 2 marzo 2018. Con il primo atto l’agente della riscossione richiedeva il pagamento di una somma complessiva pari a euro. 144.707,17, per crediti tributari relativi a una pluralità di cartelle, mentre il preavviso di iscrizione si riferiva a un ammontare pari a euro 136.442,14.

La contribuente deduceva i seguenti motivi di ricorso:

1) prescrizione delle cartelle presupposte;

2) esistenza di due prelievi forzosi su conto corrente per un importo pari a euro 32.092,84, rispetto ai quali non era chiaro il titolo;

con riferimento al preavviso di iscrizione ipotecaria 3) prescrizione delle cartelle sottese;

4) illegittimità dell’iscrizione ipotecaria perché relativa a pretese sub iudice, e in quanto contenente pretese in parte già pagate;

5) omessa identificazione del bene immobile;

6) omessa indicazione del calcolo degli interessi di mora.

L’Agente della riscossione si costituiva in giudizio formulando le proprie controdeduzioni, con le quali ribatteva alle eccezioni del ricorrente e chiedeva l’integrale rigetto dei ricorsi.

Udite le conclusioni delle parti, la Commissione Tributaria Provinciale di Milano respingeva i ricorsi riuniti della contribuente, intimando però all’ente della riscossione di “defalcare sia le somme incassate con i due pignoramenti presso terzi, sia quanto versato in acconto dalla ricorrente, al fine di stabilire l’esatta somma per cui verrà iscritta l’ipoteca”.

Proponeva quindi appello la società contribuente, deducendo i motivi di seguito sommariamente riassunti:

1) illegittimità della sentenza appellata per aver ritenuto che la presentazione delle istanze di rateizzazione interrompa la prescrizione dei crediti;

2) omessa pronuncia sulla nullità della comunicazione di preventiva iscrizione ipotecaria per omessa identificazione del bene immobile;

3) omessa pronuncia sulla illegittimità della comunicazione preventiva di iscrizione di ipoteca per omessa indicazione delle modalità di calcolo degli interessi di mora;

4) illegittimità della sentenza appellata in punto di spese, per omessa motivazione e violazione dell’art. 92 c.p.c.

L’ Agenzia delle entrate-riscossione si è costituita in giudizio formulando le proprie controdeduzioni.

Preliminarmente, eccepiva l’inammissibilità del ricorso, stante l’intervenuta cristallizzazione delle posizioni debitorie dedotte nelle cartelle prodromiche, che risultavano correttamente notificate.

Argomentava poi in ordine all’esistenza di svariati atti interruttivi della prescrizione, fra cui atti di preavviso di fermo amministrativo, ma, soprattutto, le istanze di rateizzazione formulate dalla stessa ricorrente, ex art. 19 d.P.R. 602/1973.

Ribatteva poi agli ulteriori motivi rimasti assorbiti, per come riproposti, concludendo con la richiesta di integrale rigetto dell’appello della contribuente.

Alla pubblica udienza tenutasi in data 27 novembre 2019 la causa è stata posta in decisione sulle conclusioni rassegnate dalle parti presenti e rappresentate in udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Questa Commissione accoglie l’appello della contribuente e, per l’effetto, riforma integralmente la pronuncia del Giudice di prime cure, che aveva rigettato il ricorso del contribuente.

Ai fini della decisione del presente giudizio, risulta determinante la questione dell’eccepita prescrizione che, in virtù di quanto controdedotto dall’Ufficio e di quanto ritenuto dal Giudice di prime cure, va declinata rispetto al particolare tema dell’individuazione di quali possano essere gli atti che ne interrompono il corso.

Segnatamente, nel caso concreto, il punto nevralgico è stabilire se si ritiene che l’istanza di rateizzazione pervenuta dal contribuente possa o meno determinare, appunto, l’interruzione della prescrizione.

Ebbene, non si tratta di una questione nuova, dal momento in cui la Suprema Corte di Cassazione ha già avuto modo di esprimersi su queste questioni in numerose occasioni, ma, sul punto, si devono segnalare ancora diversi orientamenti contrastanti che convivono nella giurisprudenza di legittimità, che si possono compendiare in tre filoni essenziali:

un primo orientamento, che riconosce l’idoneità dell’istanza di rateizzazione a interrompere la prescrizione, in quanto in essa si individuerebbe un comportamento oggettivamente incompatibile con la volontà di non riconoscere la pretesa dell’amministrazione finanziaria (così, ex multis, Cass., sent. 26 aprile 2017, n. 10327);

secondo un altro orientamento, invece, né l’istanza di rateizzazione né il pagamento parziale di alcune rate della dilazione concessa dall’agente della riscossione sarebbero idonee a interrompere il corso della prescrizione dell’obbligazione tributaria, trattandosi di comportamenti che non precludono la proposizione di un ricorso contro la stessa pretesa (così, Cass., ord. 27 marzo 2017, n. 7820, ord. 8 giugno 2018, n. 14945);

vi è poi un terzo orientamento “intermedio“, che riconosce che l’accettazione del piano di rateizzo, pur non essendo incompatibile con l’ammissibilità del ricorso, interrompe i termini di prescrizione (cfr. sent. 24 ottobre 2018, n. 9209 e sent. 4234/2010).

Alla luce di questa ricostruzione, stante l’impossibilità di definire maggioritario o prevalente uno di questi filoni, è necessario partire dall’interpretazione del quadro normativo su cui tutte queste pronunce si basano.

Il riferimento, in particolare, va agli artt. 2943 e 2944 c.c., che indicano tre cause tassative di interruzione della prescrizione:

  1. i) la proposta di domanda giudiziale, anche in sede arbitrale, (art.2943, commi 12,e 4 c.);
  2. ii) la costituzione in mora del debitore ai sensi dell’ 1219 c.c.(art. 2943 comma 4 c.c.);

iii) il riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale lo stesso può essere fatto valere (art. 2944 c.c.).

Deve però rilevarsi che, rispetto al generale tema del riconoscimento del debito in ambito tributario, la giurisprudenza di legittimità sia ben più costante nell’affermare che “non si possa attribuire al puro e semplice riconoscimento, esplicito o implicito, fatto dal contribuente d’essere tenuto al pagamento di un tributo e contenuto in atti della procedura di accertamento e di riscossione (denunce, adesioni, pagamenti, domanda di rateizzazione o di altri benefici), l’effetto di precludere ogni contestazione in ordine all’an debeatur, quando non siano espressione di una chiara rinunzia al diritto di contestare, salvo che non siano scaduti termini di impugnazione e non possa considerarsi estinto il rapporto tributario” (Cass. n. 2463 del 1975; Cass. n. 3347 del 2017).

Per avere un riconoscimento del debito, secondo la Suprema Corte, invece, servirebbero:

  1. a) una dichiarazione unilaterale recettizia con la quale il dichiarante si riconosce debitore di un altro soggetto (ex multis, Cass., sent. 23822/2010);
  2. b) un comportamento diverso il quale si manifesti, in maniera inequivoca la medesima dichiarazione di riconoscimento. In quest’ultimo caso, ai fini del riconoscimento deve potersi escludere che la dichiarazione e/o il comportamento possano essere diretti ai fini diversi dalla volontà di riconoscere il debito (Cass, sez. trib, 8 febbraio 2017, n. 3347).

Ebbene, in ragione di una valutazione complessiva degli orientamenti della Suprema Corte di Cassazione, questa Commissione ritiene di aderire all’orientamento più rigoroso e garantista della, adeguandosi alle pronunce che hanno posto l’accento sulla permanenza del diritto alla contestazione dell’atto tributario.

Per queste ragioni, si ritiene che il contribuente abbia dimostrato l’intervenuta prescrizione dei crediti tributari dedotti negli atti impugnati e, viceversa, che il Giudice di prime cure sia giunto a conclusioni errate ove ha affermato che il comportamento della contribuente abbia costituito una forma di riconoscimento del debito ai sensi dell’art. 1988 c.c., come tale, rilevante ai fini della sospensione della prescrizione, ex art. 2944 c.c..

Restano assorbiti gli ulteriori motivi d’appello.

La particolare complessità delle questioni affrontate e la permanente incertezza della giurisprudenza sulla questione suggeriscono alla Commissione la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Commissione accoglie l’appello e riforma la sentenza impugnata.

Spese compensate.