OPERAZIONI OGGETTIVAMENTE INESISTENTI SECONDO L’’AGENZIA DELLE ENTRATE MA NON SECONDO IL GIUDICE TRIBUTARIO

 

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IL PROCESSO

Di quale provvedimento parliamo e di quale giudice:

Il provvedimento è la Sentenza emessa il 15 giugno 2018 n. 15862 dal collegio n. 5 della Corte di Cassazione.

Quale è stato lo svolgimento del processo

La società S.A. e P. V. s.n.c. impugnava l’avviso di accertamento con cui era stato contestato, anche ai fini dell’imputazione ai soci, il reddito percepito nell’anno 2003 e l’Iva detratta nel medesimo anno d’imposta per cinque fatture ricevute dalla ditta Ga. di G.F., nei confronti della quale era stata elevato un processo verbale di constatazione relativo all’emissione di fatture per operazioni inesistenti negli anni dal 2000 al 2003.

Cosa hanno deciso la commissione tributaria provinciale e regionale

La commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso della contribuente con sentenza che era confermata dalla commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna sul rilievo che l’Agenzia delle Entrate non aveva fornito prova alcuna circa il fatto che le cinque fatture emesse dalla Ga. di G.F. ed intestate alla società S.A. e P. V. s.n.c. fossero relative ad operazioni inesistenti.

Ciò in quanto l’ufficio avrebbe dovuto provare a mezzo di indagini bancarie che le somme corrisposte dalla in relazione alle fatture regolarmente annotate nella contabilità erano state a questa restituite.

Dunque non esistevano presunzioni gravi, precise e concordanti a carico della ma solo presunzioni a carico della Ga.

Sicché il contribuente non era gravato dell’onere della prova dell’effettività delle operazioni.

L’appello avverso la sentenza di secondo grado

  1. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione l’agenzia delle entrate affidato a due motivi. Resiste con controricorso la contribuente. La causa è stata rubricata al numero R.G. 28365/2011.

Quali sono i motivi di impugnazione della sentenza avanti la CT Regionale

  1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, del D.P.R. n. 633 del 1972art. 54art. 2697 c.c..

In cosa consiste il vizio del primo motivo secondo l’Agenzia delle Entrate.

Sostiene che la CTR ha disatteso i principi più volte affermati dalla corte di legittimità in ordine alla ripartizione dell’onere della prova, posto che l’agenzia delle entrate aveva fornito attendibili riscontri indiziari sull’inesistenza delle operazioni fatturate, sicché sarebbe stato onere della contribuente provare che le operazioni stesse erano effettive.

Qual è il secondo motivo di impugnazione dell’Ufficio legale dell’Agenzia delle Entrate

Con il secondo motivo deduce insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Quali sono le ragioni a sostegno del vizio di insufficiente motivazione

Sostiene che hanno errato i giudici di appello nel ritenere che l’amministrazione finanziaria avrebbe dovuto provare tramite indagini bancarie la restituzione da parte della Ga. delle somme ricevute dalla XXXX corrispondenti agli importi indicati in fattura.

La CTR non ha tenuto conto degli importanti elementi presuntivi elencati nel processo verbale di constatazione allegato all’avviso di accertamento, quali la mancanza di organizzazione in capo alla predetta Ga. e le intercettazioni telefoniche a carico del Cupone e di G.F. da cui emergeva l’accordo intercorso tra i due per l’emissione di fatture cui non corrispondevano prestazioni effettivamente eseguite.

Il contribuente impugnava anche l’avviso di accertamento relativo ai redditi di partecipazione nella società a responsabilità limitata

Con distinto ricorso P.V. impugnava l’avviso di accertamento notificatogli in relazione al reddito di partecipazione nella società S.A. e P. V. s.n.c..

Cosa ha deciso il giudice di secondo grado riguardo questo seconda impugnazione del contribuente

La commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia accoglieva il ricorso con sentenza che era confermata dalla CTR dell’Emilia Romagna sul rilievo che la stessa CTR aveva già deciso la causa d’appello relativa alla società S.A. e P. V. confermando la decisione di primo grado con cui era stato annullato l’avviso di accertamento, per il che, considerato che il reddito da partecipazione è conseguenziale a quello determinato in capo alla società, l’appello dell’ufficio andava rigettato.

Come ha agito la Agenzia delle Entrate a seguito della pronuncia del giudice

Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione l’agenzia delle entrate svolgendo tre motivi.

Resiste con controricorso il contribuente. La causa è stata rubricata al numero R.G. 9157/2012.

Quali sono i motivi con cui l’Agenzia delle Entrate impugna e tenta di censurare la statuizione del giudice a favore del contribuente.

Con il primo motivo la ricorrente deduce nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992artt. 36 e 61art. 132 c.p.c., il D.Lgs. n. 546 del 1992artt. 38 e 51 art. 2909 c.c.. Sostiene che la sentenza impugnata è priva di motivazione poichè contiene il mero riferimento alla sentenza pronunciata nei confronti della società senza neppure menzionare o richiamare sinteticamente la relativa motivazione.

  1. Con il secondo motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 2909 c.c., in quanto la CTR ha ritenuto di annullare l’avviso di accertamento relativo al socio P. sulla base del presupposto di aver già annullato l’avviso di accertamento societario senza considerare che tale sentenza non era ancora passata in giudicato. Tale effetto avrebbe potuto prodursi solo a seguito dell’annullamento definitivo dell’atto presupposto.
  2. 9. Con il terzo motivo deduce nullità della sentenza, ai sensi dell’ 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c., in quanto la CTR, in presenza di un giudizio avente ad oggetto l’avviso di accertamento emesso nei confronti di un socio di società di persone con riguardo a reddito da partecipazione, avrebbe dovuto sospendere il giudizio in attesa della decisione della causa relativa alla società.

Quale è stata la decisione del giudice di Cassazione e quale è la motivazione della stessa

  1. Osserva preliminarmente la Corte che costituisce principio più volte affermato dalla Corte di legittimità quello secondo cui nel processo di cassazione, in presenza di cause decise separatamente nel merito e relative, rispettivamente, alla rettifica del reddito di una società di persone ed alla conseguente automatica imputazione dei redditi stessi a ciascun socio, non va dichiarata la nullità per essere stati i giudizi celebrati senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari (società e soci) in violazione del principio del contraddittorio, ma va disposta la riunione quando la complessiva fattispecie, oltre che dalla piena consapevolezza di ciascuna parte processuale dell’esistenza e del contenuto dell’atto impositivo notificato alle altre parti e delle difese processuali svolte dalle stesse, sia caratterizzata da: (1) identità oggettiva quanto a “causa petendi” dei ricorsi; (2) simultanea proposizione degli stessi avverso il sostanzialmente unitario avviso di accertamento costituente il fondamento della rettifica delle dichiarazioni sia della società che di tutti i suoi soci e, quindi, identità di difese; (3) simultanea trattazione degli afferenti processi innanzi ad entrambi i giudici del merito; (4) identità sostanziale delle decisioni adottate da tali giudici. In tal caso, la ricomposizione dell’unicità della causa attua il diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall’art. 111 Cost., comma 2, e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali), evitando che con la (altrimenti necessaria) declaratoria di nullità ed il conseguente rinvio al giudice di merito, si determini un inutile dispendio di energie processuali per conseguire l’osservanza di formalità superflue, perché non giustificate dalla necessità di salvaguardare il rispetto effettivo del principio del contraddittorio (Cass. n. 29843 del 13/12/2017; Cass. n. 3830 del 18/02/2010).

Nel caso che occupa emerge dalle sentenze impugnate che gli avvisi di accertamento notificati alla società S.A. e P. V. ed al socio P.V. avevano identico contenuto, richiamando il secondo il contenuto del primo in considerazione del reddito di partecipazione in capo al socio.

I rilievi svolti dalle parti in entrambe le cause erano i medesimi ed i giudizi sono stati definiti in modo identico seppure da due diverse commissioni tributarie provinciali (quella di Modena per la società e quella di Reggio Emilia per il socio); la CTP di Reggio Emilia, chiamata a decidere dopo che era già intervenuta la decisione della CTP di Modena, ha richiamato il contenuto della sentenza da quest’ultima pronunciata. Infine la CTR dell’Emilia Romagna, seppure in date diverse, ha emesso sentenze di contenuto identico, posto che quella emessa per seconda richiama il contenuto della prima.

Ricorrono, dunque, i presupposti sostanziali per procedere alla riunione della causa numero 9157/2012 alla causa numero 28365/2011 omettendo di dichiarare la nullità dei procedimenti per essere stati i giudizi celebrati senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari (società e soci) in violazione del principio del contraddittorio.

Importante: cosa ha deciso la corte di Cassazione riguardo alla inesistenza delle operazioni fatturate

Venendo ora all’esame dei motivi di ricorso proposti dall’agenzia delle entrate nella causa n. 28365/2011, osserva la Corte che il primo motivo di ricorso è infondato.

Mette conto considerare che la Corte di legittimità ha affermato il principio secondo cui, in tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta, che all’IVA, la legge rispettivamente il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600art. 39, comma 1, (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) ed il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633art. 54 – dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma solo per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi dell’artt. 2727 e ss. e art. 2697 c.c., comma 2, (Cass. n. 17977 del 24/07/2013; Cass. n. 9784 del 23/04/2010).

Ora, la CTR ha fatto corretta applicazione delle norme e dei principi testé indicati poiché ha ritenuto, con giudizio in fatto che può essere sindacato solamente sotto il profilo del vizio di motivazione, che l’accertamento dell’amministrazione non era basato su presunzioni gravi, precise e concordanti che rivelassero l’annotazione di fatture per operazioni inesistenti a carico della, considerato che tali presunzioni potevano valere solo a carico della Ga.

Il secondo motivo è parimenti infondato.

Invero con esso si fa valere vizio di motivazione sotto forma della sua insufficienza in quanto la CTR, in relazione al fatto controverso e decisivo del giudizio costituito dall’annotazione di fatture per operazioni inesistenti, ha ritenuto che non tutte le fatture emesse dalla società Ga. . erano inesistenti (si legge a pag. 3 della sentenza della CTR: “… essendo Ga. in gran parte, una cartiera… “) e che l’agenzia non aveva addotto elementi sufficienti per ritenere che proprio le fatture emesse a favore regolarmente pagate rientrassero tra quelle inesistenti, così esprimendosi in senso favorevole senza tuttavia esplicitare le ragioni della maggior persuasività degli elementi addotti dall’agenzia delle entrate.

Cosa decide la Corte riguardo al vizio di motivazione proposto dall’Agenzia delle Entrate

Ora, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della corte di legittimità, il vizio di motivazione che giustifica la cassazione della sentenza sussiste solo qualora il tessuto argomentativo presenti lacune, incoerenze e incongruenze tali da impedire l’individuazione del criterio logico posto a fondamento della decisione impugnata, restando escluso che la parte possa far valere il contrasto della ricostruzione con quella operata dal giudice di merito e l’attribuzione agli elementi valutati di un valore e di un significato difformi rispetto alle aspettative e deduzioni delle parti (Cass. n. 3198/2015; Cass. N. 11511/14; Cass. n. 19814/13; Cass. n. 1754/07). Il riesame degli elementi oggetto di valutazione, laddove non siano evidenziati vizi logici, costituisce accertamento di merito che esula dai limiti del controllo di logicità della motivazione affidato alla corte di legittimità. Nella specie non sussiste alcuna lacuna nel ragionamento decisorio seguito dalla CTR, tenuto conto che le doglianze della ricorrente si sostanziano nel fatto che le circostanze di causa sono state lette in modo non corrispondente alle proprie aspettative. Ne deriva che non sussiste il dedotto vizio motivazionale per non aver la CTR considerato preponderante la valenza persuasiva di quanto affermato dall’Agenzia delle entrate.

  1. I motivi di ricorso svolti nella causa n. 9157/2012 rimangono assorbiti.
  2. Entrambi i ricorsi vanno, perciò, rigettati e le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

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PER QUESTI MOTIVI

La Corte dispone la riunione della causa numero 9157/2012 alla causa numero 28365/2011 e rigetta entrambi i ricorsi proposti dall’Agenzia delle Entrate Condanna l’agenzia delle entrate a rifondere ai soci della società S.A. e P. V. s.n.c. le spese processuali che liquida in Euro 4.200,00, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% ed oltre agli accessori di legge, ed a P.V. le spese processuali che liquida in Euro 2.050,00, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% ed oltre agli accessori di legge.