GLI AVVISI DI ACCERTAMENTO RIDETERMINANO I REDDITI DI LAVORO ALLA DIPENDENTE DEL CONSOLATO. COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI MILANO LI ANNULLA PERCHÉ PRETESTUOSI, DESTITUITI DI FONDAMENTO E SMENTITI DALLE STESSE FONTI RICHIAMATE DALLA AGENZIA DELLE ENTRATE, CHE VIENE CONDANNATA ALLE SPESE.

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MOTIVI DELLA RICORRENTE

Nella Sentenza del 22/10/2020 n. 1932 – Comm. Trib. Prov. Milano Sezione/Collegio 7,  con ricorso depositato il 20/08/2019 la Sig.ra F. E. ricorreva ai sensi del art. 17-bis D.Lgs 546/92 con istanza di pubblica udienza e successiva istanza di sospensione contro l’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale I di Milano per l’integrale annullamento degli avvisi di accertamento per l’anno 2014 e per l’anno 2015 e per l’anno 2016, con i quali l’Ufficio, contestando la mancata presentazione della dichiarazione fiscale per gli anni suindicati, accertava ai fini IRPEF ed addizionali ex art. 41 bis DPR 600/73 il reddito di lavoro dipendente pari rispettivamente ad E 36.640,00, E 32.096,00 ed E 36.383,00 per i tre anni considerati.

La ricorrente eccepiva l’errata tassazione e determinazione del reddito di lavoro dipendente, percepito in qualità di cittadina argentina impiegata consolare presso il Consolato Generale della Repubblica Argentina sulla base dell’ esenzione prevista ai sensi del TUIR ed in ragione delle norme del diritto internazionale e della convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 24/04/1963.

  FATTO E DIRITTO

Con gli avvisi di accertamento, seguiti ad un percorso di indagine relativi ai redditi da lavoro dipendente erogati da Ambasciate, Consolati ed altre organizzazioni internazionali, l’Ufficio controlli, tramite i dati retributivi e contributivi comunicati all’INPS dagli enti ed organizzazioni che hanno sede in Italia, verificava l’imponibile previdenziale (Parte C del Cud) rilasciato dal Consolato Argentino, “copiandolo” quale reddito imponibile a carico delle ricorrente e senza depurarlo, ai sensi dell’art. 10 co. 1 lett.e) TUIR, dei contributi a carico del dipendente trattenuti dal datore di lavoro, lo assumeva erroneamente quale reddito, determinando maggiori imposte, interessi e sanzioni, contestati nel calcolo dalla ricorrente per violazione di legge, in quanto redditi erogati dal Consolato ed esenti – come documentato dalle certificazioni Cud 2014, 2015, 2016 (All. 2) e successivi anni -, quindi non soggetti ad imposta né a dichiarazione.

L’Agenzia, respinto il reclamo, si costituiva dando atto della errata determinazione della base imponibile e di avere proceduto in autotutela alla scomputo dei contributi obbligatori trattenuti dal sostituto d’imposta e di conseguenza alla rideterminazione del reddito complessivo; dichiarava altresì che erano state oggetto di annullamento le sanzioni comminate per i tre anni d’imposta, essendosi ritenuto corretto uniformarsi a quanto già disposto con riferimento agli avvisi di accertamento relativi agli anni 2012-2013.

Nel merito l’Ufficio, pur considerando la cittadinanza argentina della ricorrente e non contestando l’impiego consolare della stessa, con retribuzione corrisposta e percepita a causa esclusiva dell’esercizio delle funzioni consolari, chiedeva il rigetto del ricorso e condanna alle spese.

Con memoria del 15/11/2019 la ricorrente insiste nelle conclusioni del ricorso per illegittimità della pretesa nell’an e nel quantum, con integrale annullamento degli accertamenti per violazione delle norme di legge con i riferimento alla Convenzione di Vienna ed alle norme di diritto internazionale; in subordine, annullamento delle maggiorazioni a titolo di sanzioni e interessi, con rideterminazione del reddito e vittoria di spese.

Tanto premesso, esaminati gli atti, la Commissione ritiene il ricorso della contribuente fondato e meritevole di accoglimento per i seguenti motivi.

L’Agenzia nonostante l’annullamento parziale degli avvisi in seguito all’errore commesso nell’accertamento, insiste per la tassazione della retribuzione accreditata dal Consolato argentino ritenendo la fattispecie regolata dalla specifica Convenzione (su Mod. di Convenzione OCSE) contro le doppie imposizioni fra la Repubblica Italiana e la Repubblica Argentina ratificata con legge n. 282/1982 (art.19– funzioni pubbliche) (I) “secondo cui i cittadini stranieri, anche se fiscalmente residenti in Italia, non sconteranno imposta sul reddito percepito dall’ente estero, per effetto della Convenzione di Vienna del 1963 e per effetto deli ‘art. 4 comma 1 del Dpr n. 601/73, purché la residenza fiscale in Italia sia stata acquisita solo in funzione della prestazione lavorativa svolta presso lo stesso ente estero“.

La ricorrente, rientrerebbe in questa ipotesi avendo avuto la residenza fiscale in Italia fin dal giugno 1975 (a11.4) e solo successivamente (dall’ 11 Aprile 1979) avendo 1) Art. 19 Funzioni pubbliche

1 a) Le remunerazioni, diverse dalle pensioni, pagate da uno Stato contraente o da una sua suddivisione politica o amministrativa o da un suo ente locale a una persona fisica, in corrispettivo di servizi resi a detto Stato o a detta suddivisone od ente locale, sono imponibili solo in detto Stato.

  1. b) Tuttavia, tali remunerazioni sono imponibili soltanto nell’altro Stato contraente qualora i servizi siano resi in detto Stato e la persona che è residente di detto Stato:
  2. i) abbia la nazionalità di detto Stato; o
  3. ii) non sia divenuta residente di detto Stato al solo scopo di rendervi i servizi e iniziato a prestare servizio come impiegata consolare presso Il Consolato Generale Argentino.

L’Ufficio, con un margine di apprezzamento del tutto discrezionale del disposto normativo, ritiene cioè che la residenza fiscale della ricorrente non fosse temporalmente congrua con l’assunzione presso il Consolato, opinando che il certificato storico di residenza e la data di assunzione presso il Consolato medesimo fossero i soli elementi da dover correlare in un determinato lasso di tempo, deducendone che la mancata correlazione sarebbe elemento sufficiente per ritenere che la residenza in Italia non fosse funzionale alle attività consolari, svolte invece dalla ricorrente sin dal suo arrivo in Italia nel 1975.

Tale motivazione è pretestuosa, destituita di fondamento e smentita dalle stesse Convenzioni internazionali richiamate dalla Agenzia, nonché dal complesso delle norme del nostro sistema costituzionale e ordinamentale, conformantesi al riconoscimento del diritto internazionale e degli accordi e trattati ratificati.

L’esenzione è infatti di palmare evidenza ex art. 49 della Convenzione di Vienna sulle Relazioni Consolari del 24/04/1963 (2), ratificata con legge 9/08/1967 n. 802 ( entrata in vigore il 25/7/1969) e rappresentante una fonte normativa speciale che deroga alla disciplina nazionale in tema di tassazione: essa prevede un’esenzione da imposizione legata alla cittadinanza estera del funzionario, anche se lo stesso e la sua famiglia sono fiscalmente residenti in Italia.

Come specificato dalla norma, l’esenzione da tassazione riguarda esclusivamente i redditi percepiti nello svolgimento del proprio incarico del funzionario di rappresentanza consolare, mentre non rientrano nel regime di esenzione i redditi derivanti dalla sua sfera privata, come ad esempio gli investimenti immobiliari, 2% Art. 49 Esenzione fiscale

  1. I funzionari consolari, gli impiegati consolari e i membri della loro famiglia viventi nella loro comunione domestica sono esenti da ogni imposta e tassa, personali o reali, nazionali regionali e comunali, eccettuati:
  2. le imposte indirette di natura tale che sono ordinariamente incorporate nei prezzi delle merci o dei servizi;
  3. le imposte e le tasse sui beni immobili privati situati nel territorio dello Stato di residenza, riservate le disposizioni dell’articolo 32;
  4. i diritti di successione e di mutazione riscossi dallo Stato di residenza, riservate le disposizioni del paragrafo b dell’articolo 51;
  5. le imposte e le tasse sui redditi privati, compresi i guadagni in capitale, che abbiano la fonte nello Stato di residenza, e le imposte sul capitale riscosse sugli investimenti fatti in imprese commerciali o finanziarie situate nello Stato di residenza;
  6. le imposte e le tasse riscosse a rimunerazione di servizi particolari resi;
  7. i diritti di registro, di cancelleria, d’ipoteca e di bollo, riservate le disposizioni dell’articolo 32.
  8. I membri del personale di servizio sono esenti dalle imposte e dalle tasse sulle mercedi che ricevono per i loro servizi.
  9. investimenti finanziari, etc., redditi che rimangono sottoposti alla tassazione prevista dalla normativa fiscale dello Stato “ospitante”.

Lo stesso articolo 4, comma 1 del DPR n 601/73 -Rappresentanze estere richiamato dall’Agenzia recita :”I redditi degli ambasciatori e degli agenti diplomatici degli Stati esteri accreditati in Italia, derivanti dall’esercizio della loro funzione sono esenti dalla imposta sul reddito delle persone fisiche e dall’imposta locale dei redditi.

L’esenzione stabilita nel comma precedente si applica a condizione di reciprocità anche ai consoli, agli agenti consolari e agli impiegati delle rappresentanze diplomatiche e consolari degli Stati esteri , che non siano cittadini italiani, né italiani non appartenenti alla Repubblica“.

Pertanto l’esenzione, che per essere applicata deve essere prevista anche nell’altro Stato per i funzionari italiani in quello Stato , è condizionata dal fatto che tali soggetti non siano cittadini italiani e che non appartengano alla Repubblica italiana.

In conclusione, il cittadino estero, come la ricorrente, che non risulta aver redditi di altra natura, ancorché fiscalmente residente in Italia, non dovrà scontare le imposte sul reddito corrisposto dalla Rappresentanza diplomatica presso cui è impiegata, non solo in virtù della predetta Convezione di Vienna del 1963, ma anche ai sensi della normativa interna italiana, di cui all’articolo 4, comma 2, DPR n.601/1973.

Nel caso in esame la ricorrente prova che fin dal suo ingresso in Italia (1975) si è occupata dell’operazioni relative all’avvio del neo ufficio denominato Oficina Comercial del Consolato Argentino; c’è la dichiarazione del Console Generale del 26/09/2018 che la Signora presta servizio come impiegata consolare dal 1979 (a11.2) ( il che non esclude né pregiudica la collaborazione iniziale per l’avvio della sezione Economica consolare); c’è dichiarazione che le retribuzione per lo svolgimento delle mansioni in detta qualità rientrano nelle categoria contemplata nella Convenzione di Vienna del 24/4/1963 sulle relazioni consolari; che le retribuzioni correnti e differite al personale assunto presso il Consolato Generale Argentino a Milano sono corrisposte direttamente dallo Stato argentino con fondi stanziati provenienti dal bilancio dello Stato Argentino destinati alle missioni consolari all’estero.

Non può pertanto sostenersi, che la ricorrente, con cittadinanza argentina dalla nascita abbia omesso la dichiarazione dei redditi ai fini IRPEF , considerata la fonte estera delle retribuzioni percepite, corrispostele quale funzionario consolare e non suscettibili di imposizione in Italia in quanto erogati dal Consolato argentino, di per sé esenti e/o esclusi per status.

Peraltro la certificazione fiscale rilasciata dal Consolato comprovava , fin dall’inizio, l’errato approccio da parte dell’Agenzia: i CUD relativi agli anni in contestazione indicano i redditi nella sola parte C della certificazione indicante i dati previdenziali ed i contributi trattenuti a carico della lavoratrice; è vuoto invece il quadro B riservato ai dati fiscali, i cui spazi destinati ai redditi percepiti, – ritenute operate a titolo Irpef, addiz. ed acconti dovuti, -non sono stati compilati dal Consolato Argentino in ossequio al fatto che non fossero assoggettabili in Italia per essere il percettore cittadino argentino svolgente quivi funzioni consolari.

Il successivo CUD 2017 rilasciato dal Consolato Argentino nell’ulteriore quadro “Altri dati” riporta infatti l’ammontare degli stipendi corrisposti alla ricorrente tra “i redditi esenti”.

Stante la soccombenza, le spese di lite, liquidate come in dispositivo, restano a carico dell’Agenzia delle Entrate.

P .Q. M.

La Commissione accoglie il ricorso e per l’effetto annulla gli atti impugnati.

Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 2.500,00 oltre accessori di legge e c.u.t.