LA FALSA INDICAZIONE DI UNO DEI SOGGETTI IN FATTURA NON RILEVAVA: ACCOLTO IL RICORSO SU OPERAZIONI SOGGETTIVAMENTE INESISTENTI

La società opera nel settore del commercio di autoveicoli ed era stata attinta da avviso di accertamento per operazioni soggettivamente inesistenti.

 La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio alla CTR.

 Dai motivi accolti, i costi erano deducibili e la motivazione insufficiente

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Le Parti del processo

Sentenza della Cassazione tributaria Sez. 5 numero 15139/2020. E. SRL, di due fratelli, ricorrenti contro AGENZIA DELLE ENTRATE avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. di MILANO avverso la sentenza o11/2013 della COMM.TRIB.REG. di MILANO, depositata il 19/02/2013.

Il contenzioso tributario

La società contribuente che opera nel settore del commercio di autoveicoli era stata attinta da avviso di accertamento per l’anno di imposta 2005, adottato a seguito di pvc redatto dalla Guardia di Finanza dove si contestava una serie di operazioni ritenute soggettivamente inesistenti emesse da soggetti ritenuti dai militari dei soggetti fittiziamente interposti.

Attesa la ristretta base azionaria della società contribuente, l’atto impositivo si rifletteva in avviso di accertamento per ciascuno dei due soci-fratelli sulla base della presunzione della distribuzione degli utili occulti

Prima che il ricorso arrivasse in Cassazione

In appello i giudici richiamavano l’assenza di ogni struttura aziendale in capo alle società asserite fittiziamente interposte.

Valorizzava altresì, la CTR, la circostanza della ristretta base azionaria, costituita da due soci del medesimo nucleo familiare, evidenza di guadagni extracontabili tali da escludere ogni buona fede ai fini della riduzione delle sanzioni. Proponevano, pertanto, ricorso congiunto la società e i due soci, cui replica l’Avvocatura generale dello Stato.

I motivi di impugnazione accolti

Con il primo motivo si prospetta la mancata considerazione di fatto rilevante, relativo alla invocata deducibilità dei costi anche da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, come ritenuto anche da questa Corte.

Il motivo si duole che da quel fatto non sia stata dedotta la deducibilità dei costi, auspicata da parte contribuente.

Con il secondo motivo si contesta il non aver considerato che il ricevimento di fatture per prestazioni soggettivamente inesistenti non produce alcun maggior reddito, tantomeno da ritenersi distribuito ai soci con ripresa a tassazione nei loro confronti. Il punto è conseguenziale alla doglianza che precede, giacché la deduzione di costi per operazioni soggettivamente inesistenti comporta utili occulti (proporzionati ai costi inesistenti dedotti, come riduzione della base imponibile) che per presunzione correlata alla norma disciplinante la determinazione dei redditi in base alle scritture contabili contenute nel testo unico delle imposte sui redditi sono da ritenersi distribuiti ai soci della ristretta compagine azionaria, salva la prova contraria a carico dei contribuenti (Cfr. Cass. n.18032/2013; n.24534/2017).

Con il terzo motivo, si prospetta la violazione delle disposizioni generali applicabili al processo tributario e dell’obbligo di motivazione, lamentando che non sia stata data motivazione alla correlazione fra indetraibilità dell’Iva e indeducibilità dei costi.

I tre motivi possono essere trattati congiuntamente stante la stretta connessione, avendo riguardo alla deducibilità dei costi (comunque sostenuti) su prestazioni soggettivamente inesistenti e sul correlato maggior utile conseguito in ragione di Iva (indebitamente) dedotta su tali operazioni, utile che deve ritenersi distribuito ai soci, in ragione dello stretto legame fra soci e società di capitali a ristretta base azionaria, particolarmente rinforzato ove, come nel caso in esame, al legame societario si aggiunga un legame familiare, di stretta parentela. In quest’ordine, stante l’obbligo del giudice nazionale di garantire la piena ed effettiva attuazione del diritto dell’UE, si è ripetutamente affermato che «l’immediatezza dei rapporti fra l’emittente ed il destinatario della fattura è forte indice oggettivo capace di escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente in merito all’avvenuto versamento dell’Iva a soggetto non legittimato alla rivalsa», con la conseguenza che toccherà al soggetto acquirente, al fine di non perdere il diritto alla detrazione, «provare […] di non essere stato a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri» (Cfr. Cass. V, n. 2398/2018.; conf. 8846/2019, 3591/21019, 2565/2019, 17173/2018, 17161/2018, 10001/2018, 3473/2018, 30559/2017, 19419/2015, 25779/2014 e 15331/2014).

Diversamente si è precisato che, se al destinatario non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio venditore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali od operativi anomali dell’operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate ovvero tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi di una potenziale evasione, la cui rilevanza è tanto più significativa atteso il carattere strutturale e professionale della presenza dell’imprenditore nel settore di mercato in cui opera e l’aspettativa, fisiologica ed ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri operatori siano proficui e suscettibili di reiterazione nel tempo (Cass. n. 24490/2015).

Priva di rilievo è sia la prova sulla regolarità formale delle scritture e sull’effettività dei pagamenti, sia quella sull’inesistenza di un dimostrato vantaggio perché i prezzi di vendita erano conformi o superiori alla media di mercato, trattandosi le prime di circostanze già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente e la seconda perché riferita ad un dato di fatto esterno alla fattispecie tipica ed inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode (29027/2017; 428/2015; 20059/2014; CGUE 22.10.2015, C- 277/14).

La gravata sentenza motiva la ripresa a tassazione autonomamente, ritenendo sussistenti le presunzioni di conoscenza, connesse alla ristretta base azionaria, rilevando l’evidenza di utili non riportati in scritture ed indici di guadagni extracontabili, con apprezzamento dell’apporto probatorio che esula dal sindacato di legittimità di questa Corte, segnatamente ritenendo dimostrata la finzione delle operazioni note.

Non di meno, la deducibilità dei costi è del tutto trascurata dalla CTR, non ostante lo specifico rilievo nel giudizio di merito (vedasi ricorso a pag. 49), sicché il motivo è fondato e merita accoglimento, riguardo alla deducibilità dei costi.

Ed infatti, occorre ricordare che in tema di imposte sui redditi, sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una “frode carosello“), per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità oppure di costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo. (cfr. Cass., V, n .26461/2014).

A tali principi non si è uniformata la gravata sentenza ed il ricorso risulta fondato. Nella memoria rassegnata in prossimità dell’udienza, la parte contribuente rappresenta essere intervenuta sentenza di assoluzione dal reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, resa dal Tribunale di Lodi.

Di questo la parte contribuente chiede sia tenuto conto ma gli assunti del giudice penale non esplicano automatica efficacia nel giudizio tributario, diversi essendo i beni protetti e gli strumenti probatori ammessi nelle diverse giurisdizioni (cfr., da ultimo, Cass. V, n. 17258/2019) e, nel caso in esame, tanto più perché il contribuente non ha fornito la prova del passaggio in giudicato della sentenza penale.

Peraltro, è altresì principio acquisito che la ristretta base azionaria di società di capitali, tanto più ove i soci siano legati da relazioni parentali, conduce all’imputazione “per trasparenza” in capo ai soci del maggior utile accertato in capo alla società e ritenuto presuntivamente ripartito in proporzione alla partecipazione al capitale sociale.

Ed infatti, questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha affermato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati invece accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non essendo tuttavia a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (cfr. Cass. V, n. 5076/2011; n. 17928/2012; n. 27778/2017; n. 30069/2018). In definitiva, i motivi primo, secondo e terzo debbono essere accolti nella parte in cui sollevano profili di mancato esame della deducibilità dei costi sostenuti o non corretta interpretazione della relativa disciplina legislativa.

Il versamento dell’Iva ad un soggetto che non sia la genuina controparte, aprendo la strada ad un indebito recupero dell’imposta, mina, con effetti dirompenti, il meccanismo di compensazione tra Iva a valle ed Iva a monte.

Sul punto, la giurisprudenza comunitaria insiste sulla necessità, ai fini della configurabilità del diritto di detrazione, di un nesso diretto tra operazioni a valle ed operazioni a monte (tra le più recenti, Corte giust. 21 febbraio 2013, C-104/12, Wolfram Becker, punto 19; Corte giust. 6 settembre 2012, C-496/11, Portugal Telecom SGPS, punto 36); ed anche la giurisprudenza di questa Corte segnala che, in caso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, pur essendo i beni o il servizio effettivamente entrati nella disponibilità dell’impresa utilizzatrice, la falsa indicazione di uno dei soggetti del rapporto determina l’evasione del tributo relativo alla diversa operazione, effettivamente realizzata da altri soggetti (Cass. 16 maggio 2012, n. 7672)

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P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio alla CTR per la Lombardia, cui demanda altresì la regolazione delle spese del presente grado di giudizio.